Emergenza coronavirus e gestione della comunicazione online per imprese e brand

I fatti di queste settimane hanno un carattere indiscutibilmente grave e perentorio. Stiamo vivendo un periodo di alta regolamentazione della vita comune dopo giorni di discussioni e, tutto sommato, cattive pratiche di comunicazione di massa: dalla “negazione“ del problema COVID-19 allo sconsiderato confezionamento di bufale multipiattaforma.

Per chi lavora nel campo della comunicazione e del marketing, on e offline, si è posto sin da subito il problema dei problemi: che fare a beneficio delle aziende e di tutti quei soggetti, anche istituzionali, che investono on line con obiettivi ben definiti, pianificazioni editoriali e campagne di vendita attive? È consigliabile fermare ogni attività in corso, in attesa di tempi migliori? La risposta a questa specifica domanda è molto semplice: no! 

Vediamo insieme perché e quali sono i suggerimenti per ridefinire la presenza online delle aziende durante questa fase dura ma comunque transitoria.

Perché restare attivi on line? 

Esercizi commerciali chiusi, turismo fermo, produzione in stallo: perché, di fronte a questa inevitabile condizione di stasi, dovremmo rimanere attivi on line? Ci sono almeno tre buoni motivi per farlo

 1) Maggiore presenza del pubblico on line 

Le nuove misure di contenimento del contagio e la loro ricaduta sull’organizzazione lavorativa e privata di tutti hanno portato a un primo, prevedibile, effetto: una maggiore presenza del pubblico online. L’informazione, l’intrattenimento e la comunicazione tra e degli utenti in questi giorni passa soprattutto per internet, con il risultato che molte più persone sono connesse (in cerca di news, certo, ma non solo) e attive sui social. Il presidio e l’aggiornamento costante dei canali, quindi, non può che rispondere a una ricerca maggiore di un pubblico probabilmente numericamente più rilevante che in altri periodi dell’anno. 

2) Il Coronavirus è momentaneo, il nostro brand no

Ok, si dirà, ma una volta che l’emergenza sarà rientrata? Allora forse torneremo ai valori quantitativi e qualitativi di sempre, ma solo se saremo stati capaci di non trascurare la nostra immagine e i nostri pubblici. Il virus può terminare la sua fase più aggressiva: ma il nostro brand ha un valore di più lunga durata e dobbiamo prendercene cura, adesso come sempre, proprio per garantirgli la longevità che solo la costanza e la persistenza di certi valori (e della loro comunicazione) possono supportare.  

3) Proteggere il Made in Italy e alimentarne il ricordo 

Tra i principali valori della nostra economia c’è la provenienza: il Made in Italy connota l’origine di certe materie prime, l’artigianalità di alcune attività, la qualità di determinati servizi e l’unicità di certe esperienze. Dal comparto food al turismo, passando per il distretto del packaging, il settore dell’automotive, dell’architettura e della progettazione, sono tutti legati all’italianità e al savoir-faire nostrano, punto di forza eccellente anche e soprattutto per i mercati esteri. 

E anche se oggi il nostro Paese è messo a dura prova da un’epidemia di proporzioni globali, questo patrimonio di conoscenze e abilità non può essere sminuito o dimenticato, per questo è necessario, proprio ora, proteggere il made in italy, mantenerlo vivo nella memoria e nella percezione del pubblico internazionale. 

Cosa fare quindi? 7 suggerimenti per una comunicazione efficace

Non esistono formule magiche e ogni caso è a sé, certo, però è possibile definire alcune best practices che, se opportunamente adattate e combinate, possono fungere da guida per la comunicazione delle prossime settimane.  

  • Keep calm and…(digital) storytelling

Questo è il momento per fare del sano digital storytelling: raccontare e raccontarsi, mostrando anche il lato umano dell’azienda. Siamo tutti nella stessa barca e vedere come le realtà più o meno grandi affrontano la situazione anche dal punto di vista organizzativo è materia di interesse per tutti, soprattutto se si tratta di brand “esemplari” o che comprendono anche un servizio clienti. Cosa mostrare quindi? Ad esempio, come sta cambiando il lavoro all’interno dell’azienda, quali sono i provvedimenti per la salute di chi è al lavoro, quali sono i progetti in corso e quelli futuri per il brand. 

È anche il momento giusto per raccogliere e condividere i risultati delle migliori campagne già portate a termine e dei successi recenti, per proteggere l’identità aziendale e preservare la sua affidabilità in un momento di crisi, quando i dubbi prevalgono sulle certezze. Insomma, la narrazione del presente – per quanto extra ordinario – e dell’immediato passato può essere la chiave per continuare a parlare, e far parlare, di sé, anche in modi innovativi.

  • Parola d’ordine: generosità

Raccontarsi non significa però negare l’attualità: per questo, oltre alla condivisione di parole,  è necessario, quando possibile, adattare anche i propri servizi alla situazione. 

In altri termini, è fondamentale modulare l’offerta, ad esempio rendendo disponibili gratuitamente – o a prezzi ridotti – servizi e beni necessari in questa fase così delicata. È quanto hanno fatto diverse realtà del settore assicurativo, che hanno esteso le loro consulenze in orari straordinari, ed editoriale, come Adelphi.  

 

 

 

Parola d’ordine: generosità. La stessa dimostrata da una lunga serie di aziende, di ambiti anche molto diversi tra loro (si va dall’editoria, alla telefonia, alla ricerca di personale), che si sono impegnate per fornire contenuti, abbonamenti, e simili a condizioni particolarmente vantaggiose, anche se per periodi di tempo limitati.   

  • Fornire contenuti utili 

“Ha da passà ‘a nuttata” diceva De Filippo. E, purtroppo, nel nostro caso non è solo una. Esaurite le attività relativamente consuete come la cura della casa o la cucina, la lettura e il binge-watching, le persone avranno bisogno e voglia di fare altro. Ma cosa? La rete è ricca di risorse gratuite come archivi, banche dati, musei virtuali e conferenze online che si possono sposare con l’attività, o quantomeno con la filosofia, del brand.  

Ecco perché fornire spunti e informazioni pertinenti al proprio business, utili anche per lo svago di chi è forzatamente a casa, può essere l’occasione per rimanere aderenti alla realtà dei fatti, senza perdere il contatto con il proprio pubblico. 

Pensiamo alle palestre, ai ristoranti, o alle catene di abbigliamento e make up, e a realtà del settore automobilistico: è probabile che siano tutti fermi già da diverse settimane e probabilmente lo saranno ancora a lungo. Ebbene, in tutti questi casi, è possibile continuare a sfruttare i canali online suggerendo contenuti propri o altrui in linea con la propria sfera di azione e le disposizioni attuali, come corsi di fitness online, ricette o interviste, branded podcast e altre forme di aggiornamento e intrattenimento sul mondo dell’alta moda e dell’automotive, e così via. 

  • Prendersi cura dell’ADV 

Come l’attività organica, anche quella a pagamento non può fermarsi di punto in bianco. Certo, deve essere eventualmente modificata e adattata alla situazione (magari evitando call to action fuori luogo come “vieni a trovarci” e simili), e sicuramente va monitorato con attenzione l’andamento delle campagne di advertising per poter intervenire di conseguenza. Le domande da porsi, sempre e soprattutto in questa contingenza particolare, sono: come sta reagendo il pubblico ai miei annunci? Cosa sto comunicando e con quale obiettivo? Come stanno dicendo i miei indicatori di performance?

In questa fase ci sono sicuramente servizi diventati improvvisamente richiestissimi (spesa a domicilio e, in generale, l’acquisto on line di beni di prima necessità) e altri che hanno subito un importante calo della domanda (lusso, vacanze, automotive), altri ancora, infine, sono in bilico. Se, di fatto, non è possibile vendere online con gli stessi ritorni sugli investimenti del periodo pre-coronavirus, il consiglio è quello di passare a obiettivi legati alla brand awareness (interazione, traffico, copertura) e magari tentare l’acquisizione di nuovi contatti da riutilizzare successivamente.

Anche in questo caso, sarà importante tarare le nostre campagne secondo parametri che tengano conto della situazione attuale. Quindi, parlando di targeting, nella creazione (e nella modifica) delle nostre audience è necessario prestare attenzione innanzitutto ai parametri di età e di localizzazione. Come sappiamo, il COVID-19 può risultare causa di ansie soprattutto nella popolazione anziana, dunque cerchiamo di anticipare eventuali problemi nelle nostre inserzioni per il pubblico dai 55 anni in su. Anche in questo caso, chiediamoci che tipo di messaggio stiamo veicolando e teniamo nella massima attenzione le condizioni fisiche e psichiche dei più anziani. A livello di geolocalizzazione, siamo sicuri di non investire con annunci poco appropriati nelle località diventate “zona rossa”? 

Creatività e copy vanno analizzati con altrettanta attenzione: immagini, video e testi invogliano all’evasione, richiamano uscite di casa o luoghi affollati come se nulla fosse successo? Il tipo di prodotto o di servizio implica azioni in contrasto con i provvedimenti legati alla quarantena? A volte – per evitare un social media fail – sarà sufficiente modificare il tono di voce e le immagini, mentre altre volte bisognerà effettuare un intervento più drastico, rivedendo completamente la modalità di ingaggio. 

Chiaramente dipende molto dal settore, ma un consiglio rimane valido per tutti: una campagna di lungo periodo di contenuti dedicati al brand può e deve rimanere attiva. Lo si diceva al punto 1 e lo ribadiamo adesso: una volta sistemati targeting, geolocalizzazione e creatività, informare diventa un’azione strategica, soprattutto in un periodo in cui c’è tempo per fruire di contenuti. Raccogliere lead “freddi” ora ci darà modo di di riattivarli dopo, anche studiando percorsi di conversione e promozioni ad hoc specifici per questi contatti.

  • Reset e restart 

Ovvero, non è mai troppo tardi per mettersi a studiare. È inevitabile: l’epidemia attuale lascerà segni profondi e a più livelli della società. Ripartire, come e più di prima, sarà certamente possibile e urgente, ma farlo con i modelli di ieri potrebbe non essere saggio. Ecco che questo diventa il momento più opportuno per dedicarsi all’analisi dei comportamenti, allo studio dei target e delle buyer personas, mettendo in discussione anche le nostre certezze in materia di profilazione e tecniche di coinvolgimento: applicare conoscenze improvvisamente non aggiornate rischia di essere un boomerang difficile da recuperare. Come sono cambiati i nostri utenti e come cambiano i consumi in seguito all’epidemia? In quale segmento della nostra offerta ci sarà meno domanda? Dove è possibile tentare un recupero e una riallocazione di risorse? 

  • Customer care a go go 

Più persone online = più utenti in cerca di risposte. Curare con maggiore attenzione l’assistenza clienti, prevedendo tutte le eventualità legate all’emergenza in corso e aggiornando la lista delle domande frequenti. Potenziare i propri servizi di customer care, social e non solo, significa infatti lasciare un canale di comunicazione diretto aperto e disponibile che, se opportunamente gestito, può fare la differenza anche nella percezione del brand. Mai come adesso è essenziale rapportarsi da persona a persona: istruire le proprie risorse su come trattare gli utenti in questo momento diventa fondamentale, sia per gli effetti immediati che per quelli futuri. Se lo ha fatto anche Facebook un motivo ci sarà, no? 

  • Sostenere chi è impegnato in prima linea 

Potrà sembrare opportunista o strumentale, ma questo consiglio è forse quello che meno di tutti ha a che fare con logiche di marketing e comunicazione spicciola. 

Stabilire o rafforzare relazioni con ONLUS, associazioni di volontariato, realtà no-profit che in questo momento sono in prima linea per fronteggiare la crisi in corso è sicuramente un’azione con un ritorno mediatico positivo, ma che ha, prima di tutto, un effetto reale, tangibile e utile. Gli esempi, per fortuna, non mancano: lo hanno fatto per primi i Ferragnez, seguiti da altre personalità famose come Giorgio Armani, Luciana Littizzetto, Giuseppe Caprotti (Esselunga) e grandi nomi del calcio, che hanno deciso di supportare raccolte fondi o donare ingenti somme di denaro in favore di ospedali e realtà messe a dura prova dall’emergenza sanitaria.  

Versare somme in denaro non è l’unico gesto possibile: si possono fornire servizi o beni necessari per il proseguimento delle attività a supporto dei più esposti. Qualunque forma di sostegno materiale e immateriale è, in questo momento, un atto necessario più che una formula per la notorietà. È evidente, poi, che gli effetti benefici sull’immagine di chi li compie non sono trascurabili e, anche qualora fosse questo il reale obiettivo, rimane il fatto che sono pur sempre azioni socialmente valide.  

Cosa NON fare? 

Dopo i dos è bene ripassare anche qualche don’ts, perché oltre ai consigli su cosa fare è bene considerare anche cosa non fare. Alcuni sono conseguenze di quanto visto sin qui, ma ribadirli in forma esplicita non guasta.  

  • Vietato “staccare tutto”

Interrompere campagne, senza distinzioni, è un no no. Il motivo lo abbiamo trattato nei punti precedenti, ma repetita iuvant, dicevano i latini, e a ragione. 

Poniamo il caso di una realtà del settore turismo: la tentazione di stoppare qualunque tipo di attività online a pagamento è forte. MA! Smettere di presidiare i canali non aiuterà certo gli utenti a ricordarsi di noi, anzi, rischia di essere del tutto controproducente.

Più che ammainare le vele, quindi, meglio tenerle spiegate sia pure al minimo, anche perché i competitor sono dietro l’angolo e, soprattutto quelli internazionali, potrebbero risultare più aggressivi e conquistarsi fette di mercato inaspettate alla ripresa. Senza contare poi il rischio di inficiare quanto fatto sino a quel momento: chi lavora con l’ADV online lo sa bene, le azioni di remarketing e retargeting sono fondamentali per raggiungere il pubblico più vicino alla parte “alta” del funnel e quindi alla conversione finale. Stoppare tutto improvvisamente può significare uno spreco di budget (per ricostruire le audience “calde”) e raddoppiare la fatica: quella umana, di chi si dovrà occupare di ri-settare la campagna da zero, e quella dell’algoritmo, che si ottimizza proprio in virtù di attività continuative e mirate. Riprendere tutto dopo, potrebbe comportare quindi un sensibile aumento di tempo e di costi: siamo proprio sicuri che sia il caso di buttare alle ortiche tutti i risultati ottenuti
  • Trattare la situazione con troppa leggerezza

A nessuno piace piangersi addosso e i meme che intasano le chat in questi giorni lo confermano. Però, c’è un però: un conto sono le conversazioni private e i contenuti non brandizzati, e un conto sono i post firmati e riconducibili a determinati soggetti. Fare gli “splendidi”, puntando su umorismo o ironia, potrebbe non essere la chiave giusta per approcciarsi alla situazione. Attenzione, quindi, sempre a non esagerare, a misurare al millimetro i toni e le implicazioni di ciò che pubblichiamo, specie se effettivamente abbiamo finalità sarcastiche. Ricordiamo che, per molti, queste ore sono drammatiche e che il danno di immagine è sempre dietro l’angolo.

  • Buttare via la bussola

Il bianchetto, e non il cestino, è il nostro migliore amico (metaforico, si intende) in queste settimane. Cosa significa? Che è vietato abbandonare o eliminare d’emblée la pianificazione editoriale prefissata. Non solo per quello che abbiamo detto più volte e sugli effetti nefasti che potrebbe avere sulla nostra immagine, ma anche perché costituisce il baricentro per non perdere l’equilibrio, la bussola per capire dove ci sta portando la tempesta e come riprendere la rotta. In alcuni casi risulterà necessariamente stravolta (ma anche nei calendari editoriali vige l’arte del riciclo e quello che non si usa ora potrà tornare utile in seguito), in altri solo parzialmente rivista. In entrambe le situazioni, averla sott’occhio ci aiuterà a tenere la barra di quali erano (e ipoteticamente sono ancora) i nostri obiettivi di comunicazione e come intendiamo raggiungerli. 

  • Rompere improvvisamente il silenzio

Uscire in balcone per partecipare al flash mob del momento è un messaggio di speranza e incoraggiamento: improvvisare comunicazioni sui social dopo mesi di inattività, è (potenzialmente) un suicidio. Ma come, abbiamo detto fin qui che farsi sentire è importante… dunque? Dunque, c’è una piccola distinzione da fare: l’epidemia ha travolto tutto e tutti, comprese quelle realtà che si stavano preparando a comunicare o che, dopo lunghi periodi di silenzio, si erano finalmente decise a presentarsi nuovamente sulla piazza digitale. Ebbene, se già per chi era già abituato a esprimersi questo è un momento delicato, a maggior ragione lo è per chi ancora una voce ben definita non ce l’ha. Il rischio di commettere qualche passo falso, dato dalla poca esperienza o dalla scarsa preparazione, così come di essere tacciati di opportunismo (“non ti sei fatto sentire sino ad ora, perché proprio adesso?”) esiste ed è bene tenerne conto per evitare di incappare in qualche buccia di banana, per giunta autoprodotta! 

Se, dopo questa lettura, avrete ancora qualche incertezza su come affrontare la comunicazione del vostro brand ai tempi del coronavirus, saremo ben felici di rispondere alle vostre domande e fornirvi una consulenza specifica. In questi giorni l’ufficio è off limits, ma rispondiamo sempre a chi ci scrive, questo l’indirizzo da utilizzare: info@noetica.it

Luigi Mastandrea

Laureato in Filosofia e con un Master in Marketing e Comunicazione Digitale, dal 2012 supporta aziende e professionisti nel campo del Social Media Marketing. Nei primi anni di carriera ha concentrato la sua attività nella creazione di contenuti e piani editoriali, per poi specializzarsi nelle attività di advertising e performance marketing su tutte le piattaforme social. Ha all'attivo docenze in master e corsi universitari in Comunicazione Digitale.

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