E-mail deliverability: come evitare che la newsletter aziendale finisca in spam (e non solo!)

Quante volte avete sentito dire che avere una buona strategia di e-mail marketing è inviare la comunicazione giusta, alla persona giusta, nel momento giusto? Sì, è vero, ma c’è un MA! Se la vostra newsletter aziendale non raggiunge la inbox – la casella di posta in arrivo del vostro destinatario – cosa succede? Che la comunicazione giusta, inviata al momento giusto, non raggiungerà mai la persona giusta, perdendo così di efficacia.
Quindi come possiamo essere sicuri che le mail raggiungano correttamente il nostro target? Tradotto: come evitare che le mail finiscano in spam

Mi dispiace dirvi che… non si può! O meglio, non possiamo esserne sicuri al 100%. Quello che possiamo fare è migliorare la deliverability delle nostre mail. Cosa significa? E come la deliverability può incidere sulla buona riuscita di un invio? Scopriamolo insieme!

Deliverabili… che? Cos’è l’e-mail deliverability

Partiamo intanto con il definire la e-mail deliverability, ovvero la “capacità” delle nostre email di raggiungere la casella di posta in arrivo dei destinatari.

È un parametro misurabile? Ci dispiace dirvi che la risposta è: no. Purtroppo, dal momento in cui una mail viene accettata dal server di posta elettronica ricevente, non è possibile sapere quale sia la sua destinazione finale. Potrebbe essere stata accettata, ma messa in quarantena dai sistemi antispam aziendali, accettata ma essere scomparsa (sì, perché succede, e più frequentemente di quanto pensiate!), accettata ma finire in spam… 

Insomma, la variabili sono davvero tantissime. Ci sono però dei “trucchettiper poter quantificare l’e-mail delivery:

  • analizzare, all’interno dei report di invio delle nostre precedenti comunicazioni, le aperture per dominio, confrontando così l’open rate medio tra i vari client di posta. Un primo campanello di allarme può essere un  tasso di apertura per singolo dominio anomalo, perché troppo basso;
  • utilizzare strumenti per il monitoraggio dell’inbox placement, cioè il KPI che, in relazione ai bounce del nostro messaggio o alla risposta ad eventuali opt-in, valuta la consegna di una mail.

Deliverability VS Delivery Rate e Delivery

Questi tre termini indicano la stessa cosa? Anche in questo caso la risposta è no.
Il delivery rate è la percentuale che si ottiene della divisione del numero di e-mail consegnate per il numero di e-mail inviate, mentre la delivery ci indica solamente se il server di posta ricevente ha registrato o meno un bounce, cioè un vero e proprio rimbalzo della mail, che può essere soft, se si tratta di problemi momentanei come: casella piena o un momentaneo disservizio del server di posta elettronica ricevente, oppure hard, come ad esempio indirizzo e-mail errato o dominio inesistente. La deliverability, invece, consiste in una serie di “tecniche” che possono scendere in campo per aumentare la “credibilità” della mail e del dominio che stanno inviando la comunicazione. Si può quindi avere al contempo ottimi delivery rate ma una pessima deliverability!

Viaggio al centro della… mail!

Quanti di voi saprebbero sintetizzare il viaggio di una mail, da quando parte a quando (forse) arriva nella casella di posta elettronica del destinatario? Più o meno è così:

È quindi chiaro che la deliverability di una e-mail passa attraverso tanti fattori, alcuni più tecnici e altri meno, come:

  • la tecnologia di invio
  • IP e dominio di invio ed eventuale inserimento in blacklist
  • la manutenzione di database e la loro acquisizione
  • configurazioni tecniche a protezione del dominio di spedizione come DKIM, DMARC o BIMI (generalmente affidate al reparto IT)
  • engagement del target
  • sending strategy (giorni, orari, e così via…)

Ci sono poi i fornitori di posta elettronica che affinano e migliorano continuamente i propri filtri antispam per garantire all’utente la protezione nei confronti di e-mail indesiderate e/o fraudolente.

Il nostro obiettivo deve quindi essere quello di costruire la migliore reputazione possibile per le nostre mail. Ma quindi, come evitare di finire nello spam? Vediamo insieme best e worst practice da considerare per i nostri invii newsletter!

Dos e don’ts per evitare di finire nello spam (e non solo!)

DOS

✔️ Mantenere le liste di invio pulite e profilate.
✔️ Se le liste vengono create tramite iscrizione da form online (ad esempio, la classica pagina di iscrizione alla newsletter), preferire sempre il double opt-in (l’utente si iscrive e lascia la sua mail, viene inviata una mail transazionale all’indirizzo lasciato che chiede di confermare la propria mail e, solo allora, viene finalizzata l’iscrizione).
✔️Agganciare sistemi di captcha ad ogni form online, per evitare operazioni di list bombing.
✔️ Offrire contenuti di interesse e in linea con le aspettative dei contatti.
✔️ Studiare bene la strategia di invio: scegliere gli orari giusti e le giornate giuste e impostare eventuali filtri antistress – se il software di invio lo permette – per evitare di inviare troppe comunicazioni a un singolo utente.
✔️ Creare sempre comunicazioni con codici HTML puliti e corretti.
✔️ Mettere sempre l’attributo ALT ad ogni immagine eventualmente presente nella comunicazione.
✔️ Attenzione alla proporzione testo/immagine: l’ideale è avere un 60% di testo e un 40% di grafica.
✔️ Verificare sempre il punteggio spam (se fornito dal software di invio) e risolvere eventuali alert segnalati
✔️ Inserire sempre, al piede o nell’header della mail, il link di disiscrizione. Fate anche in modo che sia ben visibile – seppur marginale rispetto al contenuto – perché se l’utente non dovesse trovare il link di disiscrizione nella maggior parte dei casi dichiarerà manualmente la mail come spam.
✔️ Utilizzare un alias mittente specifico, chiaro e immediato. Per quanto riguarda invece l’indirizzo e-mail da cui parte la comunicazione deve sempre essere con dominio aziendale, esistente e presidiata.

DON’TS

Evitare di acquistare o noleggiare liste di invio: spesso infatti contengono mail obsolete, errate, poco profilate o inserite in blacklist.
❌ Non esagerare con il peso della newsletter: è meglio non superare i 100 kb, anche per evitare che alcuni client di posta elettronica, come Gmail, tronchino il messaggio e lo dividano in più parti.
Non usare URL “in chiaro” nel corpo del testo, ma linkare sempre parole o frasi come ad esempio “clicca qui”, “scopri di più”, “acquista subito”… Evitare di utilizzare anche url abbreviate tramite servizi come bit.ly o tinyurl.
❌ Non “stressare” i contatti: se il software di invio lo permette impostare filtri anti-stress o il numero massimo di comunicazioni giornaliere per ogni utente.
Evitare picchi di volume di invio con conseguenti disservizi sul sito.
Non esagerare con la punteggiatura, meglio evitare punti esclamativi e caratteri speciali e l’uso di parole che suggeriscono gratuità, urgenza o vincite e concorsi.

Ultimo – ma non per importanza – ricordiamoci sempre che la qualità del contenuto ha il suo peso: possiamo anche avere la migliore deliverability di questo mondo, ma se il contenuto non interessa al nostro destinatario, la mail non raggiungerà l’obiettivo che ci siamo prefissati!

Siamo curiosi di conoscere le vostre esperienze: vi è mai capitato di riscontrare problemi di deliverability nei vostri progetti? Alcuni dei vostri invii hanno mai avuto problemi di spam?

Se leggendo fin qui vi siete resi conto che non potete fare tutto questo da soli e quello di cui avete bisogno è di un partner che vi supporti con una consulenza di e-mail marketing, date un’occhiata al nostro servizio dedicato e scriveteci!

Jessica Tassinari

Dopo gli studi di grafica pubblicitaria ed un corso IFTS per la comunicazione ed il multimedia in cui apprende tecniche di coding e di video editing, entra a Noetica nel 2013 con il ruolo di grafico stampa e web. Si appassiona al mondo dell’e-mail marketing e dal 2014 assume ufficialmente il ruolo di e-mail marketing specialist occupandosi sia della parte operativa sia della definizione della strategia. Per Noetica si occupa anche di progetti di Marketing Automation.

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