Lavorare nei termini di brand awareness, attuare programmi di influencer marketing, coinvolgere i clienti in strategie di advocacy marketing, incrementare la partecipazione ad eventi… ma non solo: quando si ha a che fare con aziende caratterizzate oltre che dalle grandi dimensioni anche da “una certa cultura aziendale”, si può pensare di lavorare con una nuova e preziosissima risorsa, i dipendenti.
Nuova solo perché case study di successo di programmi di employee advocacy sono relativamente recenti e, ahimè, ancora troppo rari.
Brand Advocate e Brand Ambassador: un po’ di chiarezza sui termini
Brand Advocate è colui che segnala, raccomanda e invita a segnalare, raccomandare un brand – ma anche un prodotto o un servizio – in virtù della credibilità e della fiducia che gli vengono riconosciute dalla sua audience rispetto a quel brand. Fare Brand Advocacy significa quindi attivare il passaparola e il consenso, innescando azioni di natura collettiva, allo scopo di migliorare la reputazione e la notorietà del brand. In ambito digitale, i “luoghi” di Advocacy sono naturalmente i social media: coloro che, in ambito social, invitano, segnalano e coinvolgono gruppi di persone (amici, fan, follower,..) stanno facendo Social Media Advocacy.
I Brand Advocates di un’azienda possono essere:
- i clienti soddisfatti;
- fan e follower;
- blogger e social influencer;
- i dipendenti
Rispetto a ognuno di questi l’azienda mette in pista azioni e attività differenti per riconoscerli, coinvolgerli e “stimolarli” alla condivisione. I dipendenti attivi sui social, e quindi credibili e riconosciuti dalla propria audience come competenti e titolati rispetto a specifici contenuti, possono, o meglio devono, essere coinvolti dall’azienda in specifici programmi di Social Employee Advocacy.
Brand Ambassador è il cliente appassionato, l’utilizzatore di quel prodotto e/o servizio, che aderisce al programma Ambassador del brand impegnandosi ad attivare il passaparola, a condividere i contenuti sulla sua rete di contatti, creare dei post, esprimere pareri sui social, ecc… : deve dichiarare che svolge tale ruolo come volontario, non retribuito e che non è un dipendente dell’azienda.
La fiducia come leva di marketing
È ovvio e intuitivo che la capacità di coinvolgere e attivare rispetto ad un contenuto un contatto social è direttamente proporzionale al grado di fiducia instaurato, in pratica dal valore della relazione e quindi della “raccomandazione”. E di chi è che ci fidiamo? Soprattutto di amici e familiari (Ricerche Nielsen hanno rilevato come il 92% dei consumatori si fida delle raccomandazioni di amici e parenti più che di qualunque altra forma di adverting) ma anche di esperti di settore, dell’azienda e dei suoi dipendenti (il 77% dei consumatori sono più propensi a comprare un prodotto quando ne sentono parlare da qualcuno di cui conoscono).
Ma torniamo ai nostri dipendenti e, preso atto che sono preziosi per la fiducia di cui godono rispetto alla loro community relativamente alle tematiche aziendali, cominciamo a fare un po’ di conti. Alcuni studi di qualche anno fa (DMR Study – 2015) hanno verificato che in media un impiegato ha 846 connessioni sui propri social network. Diciamo che questi valori sono oggi decisamente sottostimati, sia per la costante crescita del digitale che per l’effetto pandemia, ma teniamone di conto perché questo dato ci sarà utile più avanti per fare un interessante calcolo sulla resa di un programma di social employee advocacy.
Il programma di Employee Advocacy
Potremmo definire la social employee advocacy come qualcosa di più che una nuova tattica di social media marketing: coinvolge evidentemente differenti funzioni aziendali – dal marketing, al customer, alle risorse umane… – e si sviluppa in più fasi, ognuna delle quali deve essere necessariamente regolamentata e misurata:
- Content Curation: il team dei dipendenti coinvolti nel programma deve essere in grado di selezionare, raccogliere e organizzare i contenuti aziendali relativi a uno specifico argomento o area tematica;
- La condivisione: Il team deve condividere tali contenuti e incentivarne i commenti attraverso i propri social network;
- Come effetto di queste attività il team diventa autorevole ed esperto nella materia specifica: si sviluppa il personal branding e si genera traffico verso il sito web e gli spazi social aziendali;
- Il ROI: con il tempo il programma genera un ritorno dell’investimento quantificabile sia in termini qualitativi che quantitativi;
- Branding: il brand sviluppa e consolida la propria leadership.
Sintetizzata così sembrerebbe anche facile, ma vediamo le sfide che deve affrontare il nostro Social Media Leader….
La Road Map per la Social Employee Advocacy
Se il cuore e l’anima del programma di Employee Advocacy sono i dipendenti, è altresì vero che questi hanno tipicamente livelli di attitudine, skill ed experties sul digitale in generale, e sui social media nello specifico, molto differenti: necessitano quindi di formazione specifica e di affiancamento.
L’attuazione del programma richiede pertanto di:
- Creare una task force: identificare team leader e stakeholder, identificare ruoli e responsabilità, così come definire i luoghi aziendali in cui si compirà il programma e il coinvolgimento delle risorse umane e della comunicazione interna.
- È indispensabile definire una Social Media Policy interna che permetta agli impiegati di sapere chiaramente cosa possono e non possono fare: è un documento che definisce regole e linee guida per la pubblicazione sui canali social del Brand, le questioni legali e il codice di condotta.
- Selezionare il gruppo pilota, ovvero scegliere il team sulla base sia dell’attitudine che delle motivazione: è questo un processo molto delicato che vede coinvolte le risorse umane ma anche il marketing, la vendita e il customer.
- Creare un programma di formazione focalizzato su best practice, su competenze tecniche e monitoraggio dei risultati.
- Definire uno standard editoriale, ovvero le linee guida per la creazione di testi, immagini e video, la corretta realizzazione dei post sui social e le linee guida di pubblicazione.
- Scegliere la giusta piattaforma software che permetta di creare e condividere i contenuti, gestire la comunicazione interna e tracciare e misurare i dati.
E a questo punto siamo decisamente pronti per partire.
Misurare l’efficacia dell’employee advocacy
Siamo in ambito social per cui sul piatto della bilancia pesano tre livelli di performance:
- Reach: la capacità di ampliare l’audience e intercettare nuovo pubblico.
- Engagement: la capacità di coinvolgere nelle conversazioni e di indurre a interagire con i contenuti.
- Advocacy: spingere la condivisione dei contenuti e dei messaggi pubblicati dall’employee. Ed è la parte più preziosa della relazione.
Ma in un mondo business è il ROI (Return Of Investiment) che giustifica gli investimenti per l’attuazione di un programma aziendale così strategico: proviamo dunque a fare qualche calcolo sui costi per acquisire impression o lead o semplicemente click.
Se 500 dipendenti partecipano al programma e il 10% condivide contenuti, in considerazione del fatto che ogni dipendente ha una media di 846 connessioni, 50 X 846 = 42.300 impression. Quanto costerebbe acquistarle? Se un lead costa 30€ e il programma genera 30 lead = 900 € sono risparmiati. Quanto costerebbe acquisire 30 lead?
Se Google Ads ti impone un posto click elevato di 2€ e il programma genera 500 link al sito= 1000 € sono risparmiati. Quanto costerebbe acquistare 500 click?
Sento già vari dubbi e domande nell’aria:
- come è possibile coinvolgere i dipendenti nel programma?
- Quali leve motivazionali muovere per trasformarli in brand ambassador?
- Come faccio ad attuare un programma del genere se in azienda non è possibile usare i social?
Se non conosci le risposte e sei interessato ad una consulenza specifica su queste tematiche o a piani formativi per i dipendenti aziendali, contattaci qui.