Che agli esseri umani piaccia “giocare” a tutte le età lo aveva teorizzato già nel ‘39 lo storico Johan Huizinga, riconducendo all’attività ludica (mi si perdonerà la sintesi estrema e brutale) quasi tutte le azioni e i fenomeni culturali umani, dallo sport alla religione.
Ma che proprio il gioco, quello inteso in senso stretto, possa diventare anche una chiave di comunicazione e vendita, è una scoperta che molti di noi hanno fatto solo di recente, con il diffondersi del cosiddetto gamification marketing, ovvero di tutti quei meccanismi che consentono alle persone di interagire tra loro o con il prodotto, in modo divertente e con leggerezza.
Obiettivo? Migliorare l’esperienza dell’utente! On o offline non importa, la gamification promette e permette infatti di intrattenere il target di riferimento in maniera diversa e spesso alquanto partecipata, proprio perché non sempre legata a un intento commerciale esplicito.
Ecco allora di cosa si tratta, quando funziona e qualche esempio di brand famosi che hanno adottato questa tecnica.
Cosa significa “gamification”?
Lo abbiamo già anticipato in premessa: “gamification” significa “ludicizzazione” e consiste nell’inserimento di elementi e funzionalità di gioco, il gaming appunto, all’interno del processo di acquisto, della scelta del prodotto o della sua fruizione, sia fuori che dentro la rete. Questi possono infatti riguardare il packaging (avete presente il gioco dell’oca stampato sulle confezioni di cereali?) ma anche le app o i quiz sul sito, e persino la raccolta punti del supermercato.
Da questi pochi esempi (ma ne vedremo qualcuno più specifico tra un po’), già è possibile rendersi conto di una cosa: il gamification marketing non è storia nuova ed è strettamente connesso al coinvolgimento, e alla gratificazione, dell’utente.
Infatti, se la qualità dell’esperienza degli utenti è ormai sempre più centrale nelle strategie di comunicazione efficaci, tanto che anche Google l’ha resa uno dei parametri fondamentali per il posizionamento SEO dei siti, riuscire a in-trattenere acquirenti, visitatori e prospect con momenti di svago può essere una mossa vincente, soprattutto se questi includono anche la prospettiva di un “premio” o remunerazione finale a loro dedicato.
I social network, Facebook in testa, e i numerosi giochi e sfide online che li hanno attraversati, ci hanno abituato fin da subito a questo approccio, che è sempre più attivo, condiviso e ludico appunto.
Si tratta di un fenomeno ancora in evoluzione in cui i social media la fanno da padrone, ma in cui si affacciano anche i videogiochi veri e propri, anche in forme innovative o inedite: nella sezione “Nuovi territori” del suo Osservatorio sulle prossime tendenze, l’esperto di web marketing e analisi dei trend Vincenzo Cosenza (aka Vincos) è molto chiaro nel definire i social come “i nuovi centri commerciali” e i videogame come “luoghi di incontro e socializzazione […] che stanno sviluppando nuove opportunità di marketing e stanno diventando la casa di una audience molto particolare, quella che va dai 9 ai 24 anni”.
Non a caso, secondo un recente rapporto, “il mercato globale della gamification era stato valutato 6,8 miliardi di dollari nel 2018 e si stima che crescerà annualmente del 32% fino a raggiungere i 40 miliardi di dollari entro il 2024, sulla base della crescente domanda per un arricchimento della customer experience e per un maggiore ingaggio dei dipendenti”.
Sì, i dipendenti: perché tra le varie applicazioni che questo sistema può avere c’è anche quella interna all’azienda.
Gamification: perché ricorrere al gioco, anche in azienda
Proporre un gioco all’utente, che sia attraverso una app o una brochure, significa renderlo protagonista, facendolo passare da visitatore passivo ad agente attivo, in grado di condizionare l’esito delle sue stesse scelte.
Il risultato a lungo termine è quasi sempre una migliore considerazione del brand (apprezziamo lo sforzo progettuale soprattutto se ben riuscito e se il gioco ci è piaciuto lo associamo a pensieri positivi); una maggiore notorietà della marca (siamo tutti propensi a condividere qualcosa che ci ha divertito con altre persone, contribuendo alla cosiddetta brand awareness) e una certa fidelizzazione (perché cambiare se abbiamo già vissuto un’esperienza piacevole con quella particolare azienda?).
Ecco perché la gamification può essere applicata a numerosi contesti e i suoi macro obiettivi possono essere declinati in altrettanti “goal” specifici a seconda della situazione in cui viene inserita. Per capire meglio come, proviamo a ipotizzarla in casi particolari.
Immaginiamo una community di clienti di un operatore telefonico che scaricano la app sul loro device per avere sempre sotto controllo costi, giga e bollette. Bene, se in questa app aggiungessimo un’area dedicata a quiz aggiornati giornalmente, magari da risolvere entro un certo periodo di tempo nell’arco delle 24 ore e con in palio la possibilità di ottenere sconti o offerte dedicate, significherebbe arricchire la customer care post vendita di un elemento ludico in più.
Oppure ancora, perché non sfruttare il principio del game-based learning, ovvero dell’apprendimento attraverso il gioco, magari per corredare un sito o un corso di formazione con domande e test di verifica ironici? Si tratta di una tecnica non troppo distante da quello a cui siamo stati abituati fin da bambini, con i libri di scuola e le verifiche di fine modulo. E che però nella vita adulta sono sempre meno frequenti, anche se allentare lo stress e concedersi una pausa spiritosa può avere una funzione cruciale per l’assimilazione, anche in età più matura.
Infine, lo dicevamo poco fa, la gamification può trovare spazio anche all’interno dell’azienda. Abbiamo analizzato in un precedente approfondimento il ruolo che possono avere strumenti apparentemente insoliti come il podcast per la comunicazione interna aziendale, ad esempio. Allo stesso modo, anche una pratica di gioco può portare a benefici inattesi, come una maggiore coesione tra i dipendenti (il famoso team building) o costituire, se condivisa anche all’esterno, una forma alternativa per farsi pubblicità e rinforzare i rapporti con fornitori e clienti. La classica cena di fine anno potrebbe essere allora l’occasione per un gioco a squadre con ricchi premi e cotillon o per un torneo tra più realtà dello stesso ambito, con sponsor e clienti invitati. La chiave per la riuscita di questo tipo di eventi è, come detto sin qui, il coinvolgimento dei partecipanti e la loro valorizzazione anche extra-lavorativa.
Gamification sì, ma come? 3 esempi di successo
Avete mai affrontato un colloquio di lavoro al computer? Ma certo, che domande! Magari anche con più di una persona e test attitudinali o psicologici annessi. Ma se vi dicessero che a condurre il colloquio non è una persona, ma una serie di video interattivi ironici e curatissimi?
È quello che ha fatto Heineken con il suo sito dedicato alla selezione del personale (e al divertimento di chi ci capita per sbaglio): un esempio virtuoso di ingaggio dell’utente con una doppia finalità, scremare i candidati e stimolare la condivisione di contenuti brandizzati. Al termine del quiz si ottiene infatti il risultato con la descrizione del proprio profilo (tradizionalista, investigatore, ambizioso, eccetera) e da qui in poi si può decidere se proseguire con il colloquio online, inviare la propria candidatura tramite LinkedIn o semplicemente postare il risultato sui social network. Un bel modo di allentare la pressione della prima intervista!
Il secondo esempio proviene invece dal settore bancario, dove almeno due realtà si distinguono per aver sviluppato delle vere e proprie “operazioni a premi”, come si dice in gergo. Si tratta di CheBanca! e della sua app “YourClub” e di Intesa Sanpaolo con la sua omologa “Reward”. Nel primo caso, la dinamica è quella di una vera e propria raccolta punti, attraverso azioni e “missioni” interne alla stessa app. Al raggiungimento di determinate soglie, si possono riscattare alcuni prodotti suddivisi in categorie diverse. Il “Vip Status” e il riconoscimento di stelline di merito fanno leva sul senso di appartenenza e valorizzazione dell’utente, rendendo anche l’esperienza in app un momento di gratificazione.
Un meccanismo simile è quello seguito dall’app “Reward” di Intesa Sanpaolo che invece mette in palio premi, oggettistica e regali di varia natura per coloro che riescono a completare le sfide proposte dal sistema entro il tempo previsto. Tra le missioni sono contemplate anche operazioni semplici come “Invita un amico” o “Condividi sui social”… e ai più attenti di noi non sarà certo sfuggito il potenziale ad alto tasso di brand awareness di queste azioni innocenti, vero? Anche in questo caso, semplicità di utilizzo, chiarezza e promessa di ricompensa sono la formula (con)vincente per portare i correntisti sullo schermo di gioco.
Il terzo e ultimo caso studio esce dai confini dell’internet per arrivare…in strada. Si tratta dell’iniziativa “Speed Camera Lottery”, ideata nel 2010 e adottata successivamente in Svezia. Una lotteria per automobilisti attenti, che premia – attraverso un’estrazione casuale – coloro che rispettano i limiti di velocità. Come? Basta inviare una foto del veicolo e della velocità rilevata dall’autovelox e, in caso di fortuna, si ricevono i soldi prelevati dalle tasche degli automobilisti multati per contravvenzione. Un bel modo per incentivare il rispetto delle regole! Vi suona familiare? In fondo anche l’italianissima “Lotteria degli scontrini” è un esempio di gamification applicata alla pubblica amministrazione: sta a vedere che tra poco ci troveremo a vivere in una puntata di Black Mirror senza neanche rendercene conto… il più sarà fare la scelta giusta!
Se anche voi siete incuriositi dalle logiche della gamification e magari avete un progetto che volete sviluppare in questo senso, non vi resta che contattarci, saremo pronti a metterci in gioco!