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Chi fa il mio stesso lavoro o è abituato alla vita di agenzia, lo sa: con la puntualità degna di uno svizzero, all’inizio di ogni mese si deve fare i conti, letteralmente, con la reportistica, ovvero con quel complesso di numeri e analisi che servono a verificare e confermare (o smentire) l’efficacia delle attività di comunicazione realizzate nei trenta giorni precedenti.
E, con altrettanta puntualità, soprattutto per i progetti nuovi, si apre l’annosa questione: quali dati è importante rilevare? E cosa significano? Ovviamente ogni progetto fa scuola a sé e molto dipende dagli obiettivi preliminari (engagement, branding, lead generation, selling e altri inglesismi). Tuttavia, è possibile individuare le metriche principali, ovvero quelle che, più di altre, danno l’idea dell’andamento del progetto al team di lavoro e al cliente. Ecco quindi la nostra mini guida alle KPI per il marketing digitale, divise per canale, strumento di rilevamento e attività.
KPI per la SEO nei progetti editoriali
Inutile negarlo, il mondo delle KPI è piuttosto ampio e purtroppo, o per fortuna, non basta un solo numero per determinare il successo o il fallimento di uno strumento. Accettando quindi come inevitabile un certo grado di generalizzazione e approssimazione (mi perdoneranno i marketers più esperti!), cerchiamo di capire quali sono gli indicatori più importanti quando si parla di siti internet, ovvero di KPI (l’acronimo sta appunto per “Key Performance Indicator”) per la SEO. Immaginiamo di dover analizzare l’andamento di un ipotetico (sito dotato di) blog, o un magazine, o comunque con un aggiornamento frequente e regolare di contenuti.
In questo caso, gli strumenti principali su cui fare affidamento sono Google Analytics e Search Console.
Probabilmente, il primo obiettivo di questo tipo di sito, è il posizionamento organico su Google e sugli altri motori di ricerca, con lo scopo ultimo di intercettare utenti in target e portarli a visitare le pagine del sito. Parliamo quindi di parole chiave e traffico.
Le KPI per valutare la strategia di keyword
Per verificare l’andamento delle prime, dovremo ricorrere a Search Console, il servizio di Google nato proprio per “controllare lo stato dell’indicizzazione e ottimizzare la visibilità dei siti web”.
Qui, i parametri che ci interessa verificare sono legati al posizionamento delle parole chiave che abbiamo scelto in fase di definizione del calendario editoriale e, più in generale, durante l’elaborazione della strategia SEO. A seconda della loro posizione sulla pagina dei risultati di ricerca (la SERP di Google) e dei clic che sono in grado di portare al nostro sito, infatti, avremo corrisposto o meno alle nostre aspettative di visibilità e potremo andare a correggere il tiro. Tenendo comunque sempre presente che si tratta di valori variabili (i risultati della SERP si aggiornano costantemente e i nostri stessi contenuti perdono o guadagnano posizioni nel corso del tempo), le KPI più rilevanti per una valutazione di massima sono, appunto:
- Impression: il numero di volte in cui un utente ha visto sulla pagina dei risultati di ricerca di Google il link alla nostra pagina web, in tutte le sue varianti (snippet, immagine, discover…);
- Clic: quanti clic sono stati registrati sul nostro link;
- CTR: ovvero il rapporto, in percentuale, tra clic e impression. Questo valore dà la misura realistica dell’efficacia dei nostri contenuti nel momento in cui compaiono nella SERP;
- Query: per quale parola chiave ci stiamo realmente posizionando? Siamo stati capaci di ottimizzare i nostri contenuti coerentemente alle nostre intenzioni e a quelle degli utenti o ci sono altre chiavi di ricerca, più o meno attinenti, per cui veniamo intercettati? A tutte queste domande risponde il parametro legato alla “query”. Per ogni query avremo infatti una posizione media.
- Posizione media: questo dato è molto importante per capire in media il nostro sito dove si posiziona (ricordiamoci che ogni pagina di Google contiene un massimo di 10 risultati, pertanto tutto ciò che compare in posizione compresa tra 1 e 10 sarà in prima pagina, da 11 a 20 in seconda, e così via…). Di ogni pagina possiamo poi capire quindi quali sono quelle che stanno lavorando meglio e quali invece potrebbero avere bisogno di ulteriori interventi correttivi.
È evidente che tutti questi risultati riguardano solo e unicamente il posizionamento organico e solo in parte corrispondono a quelli che possiamo ricavare da Google Analytics. Il vantaggio di consultare Search Console risiede proprio nel fatto che qui è possibile approfondire tutti gli aspetti legati all’ottimizzazione e al posizionamento SEO, mentre da Analytics potremo avere una panoramica più completa sull’efficacia della strategia a tutto tondo, a partire dai dati di traffico.
Gli indicatori di traffico: sessioni, utenti e bouncing rate
Per avere contezza della quantità e qualità del traffico, invece, possiamo prendere in considerazione le seguenti metriche, presenti all’interno del pannello di analisi di Google, nel range di tempo di nostro interesse (ad esempio, negli ultimi 3 mesi):
- Sessioni. Una sessione corrisponde al periodo di tempo in cui un utente “interagisce” con il sito (ad esempio, visita una pagina). L’unità di misura standard di una sessione è di 30 minuti: se in questo arco di tempo, l’utente esce e ritorna sul sito, non attiva una nuova sessione poiché rientra in quella precedente. In una sessione, quindi, ci potranno essere più visualizzazioni di pagina, che infatti è un parametro diverso rilevato da Google;
- Utenti unici: il numero di persone che hanno interagito con il nostro sito. È evidente che, soprattutto per blog con numerosi utenti di ritorno (ovvero ricorrenti), il numero di sessioni e le visualizzazioni di pagina supereranno di gran lunga quello degli utenti, che potranno aver effettuato più di un singolo accesso;
- Pagine per sessione: quante pagine sono state visualizzate dall’utente in rapporto alle sessioni;
- Durata sessione media, ovvero il tempo medio che un visitatore dedica alla navigazione del sito;
- Frequenza di rimbalzo (o bouncing rate). Questo dato, spesso poco chiaro, è uno dei più importanti perché identifica, le sessioni di una sola pagina. L’idea di rimbalzo non è casuale: l’utente è entrato sul sito ma poi, per qualche motivo, ha preferito uscire senza effettuare altre azioni e visualizzazioni di pagina. Altra nozione apparentemente controintuitiva: più la percentuale di rimbalzo sarà bassa, più gli utenti hanno interagito sul sito.
Bene, ora che abbiamo assestato i fondamentali, facciamo qualche esempio pratico per provare a incrociare e interpretare criticamente questi dati.
Mettiamo il caso di un blog che abbia un numero di sessioni e visualizzazioni di pagine molto alto e un numero di utenti invece molto basso: come leggeremo questi dati? Gli utenti sono evidentemente degli estimatori dei contenuti e ritornano spesso (un dato verificabile a sua volta con il grafico a torta riportato normalmente da Google), ma il blog fatica a trovare nuovi utenti. Non è detto che sia un male: se abbiamo un argomento di nicchia, che interessa una fetta ristretta di persone, stiamo comunque facendo un buon lavoro.
Al contrario, invece, tanti utenti per altrettante sessioni, possono significare che il nostro pubblico non si affeziona, e ad ogni contenuto il target si rinnova. Anche qui, volendo trarre delle conclusioni di massima, possiamo dire che la nostra strategia di keyword è ipoteticamente molto buona, ma forse dovremmo rivedere qualcosa in termini di fidelizzazione.
Ancora: una durata di sessione molto breve (consideriamo i tempi medi di lettura di un articolo) e con poche pagine per sessione, devono metterci in allarme sul fronte della linking interna e dell’usabilità del sito, oltre che della corrispondenza tra quanto proponiamo agli utenti e quanto invece si aspettano. Viceversa, se un blog “lavora bene”, rileveremo una permanenza più lunga sul sito e con diverse pagine per sessione, a riprova della soddisfatta curiosità del target.
KPI per le campagne pubblicitarie: Google Ads e Facebook Ads
E se abbiamo attivato delle campagne pubblicitarie online, come facciamo a capire come stanno andando? Anche in questo caso, alcuni indicatori sono più utili di altri, almeno per una panoramica generale.
Che si tratti di Google Ads o di Facebook Ads, anche per la sponsorizzazione di articoli di un blog, sarà bene monitorare i seguenti parametri:
- Impression: letteralmente “impressione”, si verifica tutte le volte che un utente visualizza un annuncio (a prescindere dal fatto che l’annuncio venga cliccato o meno);
- Clic: questo è abbastanza intuitivo e corrisponde al numero di clic ottenuti dagli annunci a pagamento;
- CTR (click through rate): indica il rapporto in percentuale fra clic e impression;
- CPC (costo per click) medio, ovvero il costo medio pagato per un clic sull’annuncio: spesa totale / clic ricevuti.
- CPM: Il costo per mille impression, su Facebook, aiuta a capire quanto sta costando raggiungere il pubblico e va impostato sempre con un lasso temporale preciso.
Anche se le definizioni coincidono, Facebook e Google riportano in maniera diversa questi stessi dati, ma una volta presa dimestichezza con gli strumenti di analisi interna (il pannello di Ads per Google e Business Manager e Insights per Facebook) è facile orientarsi. È inoltre evidente che un’interpretazione unica del significato di certi valori non è possibile, per la ragioni di cui sopra: molto dipende infatti dal tipo di campagna e dalla strategia adottata, oltre che dagli strumenti messi in campo, dalla durata della campagna, etc.
Nonostante questo, è comunque possibile fare qualche considerazione generale che è bene ripetere a beneficio del ragionamento complessivo, anche a costo di ricadere nelle banalità.
Qualunque sia il canale attivato, le impression saranno sempre più numerose dei clic e questi ultimi sanno sempre maggiori delle “conversioni” (ovvero degli obiettivi raggiunti, siano essi l’iscrizione alla newsletter, una prenotazione, un acquisto, etc.). In markettese, questo è quello che, tradotto in un grafico a strati, viene detto “funnel” appunto: un imbuto largo sopra (tanti utenti vedono le mie inserzioni), più stretto in mezzo (di questi, solo alcuni ci cliccano sopra), più sottile in fondo (solo una parte di chi ha cliccato decide di procedere nel percorso di conversione). La dimensione di questi tre flussi è ciò che rende una campagna efficace o meno, facendo salire o scendere il CTR e influenzando il CPC medio finale.
Ci sono poi campagne che, per loro natura, lavorano meglio su certe KPI piuttosto che su altre: ad esempio, nel caso di una campagna Display di Google Ads sarà molto più facile raccogliere impression che clic, proprio perché questo tipo di annunci in forma di banner grafici “colpisce” l’utente nella sua navigazione libera; diverso è il caso di annunci testuali (su rete Search) che compaiono in risposta a una precisa ricerca dell’utente il quale, quindi, dovrebbe essere più predisposto al clic oltre che alla semplice visualizzazione dell’annuncio.
Analogamente, per una campagna di Engagement su Facebook sarà più facile raggiungere l’obiettivo (interazione con il post) e ottimizzarne il costo; al contrario invece, una campagna con intento più forte (magari commerciale) avrà proporzioni diverse tra impression, clic sull’annuncio e obiettivi raggiunti, tipicamente più “difficili” dell’interazione con un post.
KPI per l’email marketing
Una panoramica delle principali KPI per il marketing digitale che si rispetti non può prescindere dalla rassegna delle principali metriche che riguardano l’e-mail marketing. Per questo tipo di attività, si parla tipicamente di:
- Delivery rate, o tasso di consegna, ovvero la percentuale di e-mail effettivamente inviate rispetto ai contatti presenti in database. Un delivery rate del 90%, ad esempio, significa che il nostro invio è stato ricevuto dalla quasi totalità della nostra rubrica.
- Open rate: il tasso di apertura della mail, anche questo espresso in percentuale, calcolato in relazione a quelle consegnate;
- Click rate: l’indicatore che ci dice quanti clic sono stati registrati rispetto al totale delle mail consegnate (delivery rate). Attenzione però: un clic non corrisponde a un utente, perché ciascuno dei destinatari potrebbe aver cliccato più volte all’interno della nostra mail (e per certi versi, ce lo auguriamo). Per avere questo dato, bisogna fare riferimento agli utenti unici.
- Click-through Open rate (CToR): il tasso di clic, in percentuale, in relazione alle aperture.
Se siete arrivati fin qui, avrete forse notato che non vi ho fornito alcun dato di riferimento con cui poter paragonare i vostri risultati. Un benchmark di settore, infatti, è possibile (sempre considerando tutte le varianti che un progetto di comunicazione comporta) e tuttavia si tratta di valori preziosi, frutto dell’esperienza dell’agenzia e dei suoi consulenti, e sarebbe una leggerezza proporvi delle valutazioni di merito su numeri astratti.
Chi, invece, non corre questo rischio e, al contrario, fornisce una risorsa particolarmente utile anche come metro di giudizio è la piattaforma di invio newsletter MailUp, che ogni anno rilascia il suo Report sull’andamento di newsletter e DEM, settore per settore, formulato sulla base dei dati ricavati dai diversi milioni di mail inviate dagli utenti attraverso il suo sistema.
Se, oltre agli indicatori da tenere d’occhio, vi interessa capire meglio se il piano d’azione che avete attivato, o volete attuare, è davvero funzionale, non vi resta che contattarci e richiedere una consulenza ad hoc.
E nel frattempo, chi KPI, più ne metta!