Il project manager non è un mestiere nuovo: può essere relativamente recente la dicitura (nelle agenzie di comunicazione si alterna, ma non sempre coincide, con l’account), ma la sua è una delle figure più richieste del momento (basta farsi un giro sulle offerte di LinkedIn per avere un’idea dei numeri). Eppure il suo, il mio, lavoro rimane piuttosto sconosciuto ai più. Agli amici più stretti e Netflix-dotati posso descriverlo come quello dell’in fondo buono, ma più spesso subdolo, Pete Campbell della serie Mad Man. Ma, al di là del paragone poco lusinghiero (vorremmo tutti essere Donald Draper, almeno per pochi istanti), non sempre questo corrisponde al vero. Per spiegare cosa fa il project manager anche alla zia poco vispa e molto interrogativa dei pranzi natalizi, ho cercato di sintetizzare in 5 macro-fasi il flusso di lavoro della mia giornata tipo.

Valutare, ovvero saper fare le domande giuste
Inutile girarci attorno, quella del saper fare le domande giuste è davvero un’arte che si esercita soprattutto in due casi:
Caso 1. Il cliente che “ne sa”
Spesso capita che clienti o potenziali tali si rivolgano all’agenzia perché necessitano di una o più figure operative: hanno già definito il cosa, gli serve solo il chi. Davanti a una persona decisa e con le idee chiare, si è portati d’istinto a rispondere affermativamente, soprattutto se si hanno le competenze o le risorse per farlo. Resistere alla tentazione di dire semplicemente di sì è una delle azioni chiave se si intende fare un’analisi completa dei bisogni del cliente. In questa fase è importante, quindi, indagare le ragioni, gli obiettivi, i target della tale o talaltra azione prospettata dal cliente per valutare quali siano le opzioni e le strade percorribili, con quali tempi e con quale budget. Compito del project manager, infatti, è saper ascoltare il cliente anche oltre le sue stesse richieste e considerare quanto gli viene presentato come segnale di un bisogno, e non necessariamente come soluzione bella e buona.
Caso 2. Il cliente che “boh”
Questo è il caso più frequente: il cliente ha degli obiettivi (di marketing o di comunicazione) e non sa come raggiungerli. Ancora una volta, prima di partire con il rosario delle ennemila declinazioni di marketing (content, social, article, etc…), il project manager addestrato resiste: si ferma, ascolta, riflette e domanda.
Solo così, infatti, potrà rendersi conto delle reali intenzioni del cliente, delle sue prospettive, delle potenzialità del progetto e, soprattutto, dei costi (valutazione economica). Nella costruzione di un’offerta si deve tener conto di tutte le informazioni raccolte in fase di colloquio (sì, il project manager passa molto tempo al telefono o in sala riunioni): quali sono le specifiche di progetto, quali le attività da proporre, quali le risorse (interne? esterne?) da attivare, secondo quali competenze e costi, per l’agenzia e quindi per il cliente. L’incontro conoscitivo con il futuro cliente, ma anche con il cliente presente, è la parte preliminare più delicata perché getta le basi della collaborazione futura, sia in termini qualitativi che quantitativi. Ed ecco perché è così importante che il project manager sappia fare le domande giuste.

Presentare: bisogna metterci la faccia
Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e nel caso del project manager è un mare fatto di parole e slide. Il suo amico più fidato, infatti, è il buon vecchio Power Point (o la versione analoga di Apple Keynote, che personalmente preferisco): è lì che si esercita la capacità di illustrare al cliente il risultato delle valutazioni d’agenzia. Saper presentare in modo coerente e quindi convincente una proposta di attività, indipendentemente dall’esito della stessa, è frutto prima di tutto di un ordine mentale a cui segue una logica espositiva fatta per condurre il cliente alla scoperta delle potenzialità del progetto di comunicazione. Purtroppo, non esiste una ricetta universale per realizzare delle buone presentazioni, ma il risultato dovrebbe essere un giusto mix di concretezza, numeri e creatività. Tutto q.b.
Pianificare: salire sulle spalle dei giGANTT
Terminate le fasi di valutazione e presentazione delle proposte, se l’offerta viene accettata, si passa all’aspetto organizzativo, quello cioè in cui il project manager lascia la stanza dei creativi (ci tornerà presto, non illudetevi) per mettere in fila tutte le pedine del suo scacchiere secondo precisi parametri di tempo, attività e persone. E’ qui che fioccano le griglie, i GANTT, gli schemi su carta o su Google drive: la pianificazione è il timone, la barra di comando che guida tutti i progetti, complicati o meno che siano. Definire il chi fa cosa quando e come, significa infatti dare al lavoro un ritmo, una direzione condivisa, una visione globale. Significa, quindi, raccogliere tutte le informazioni e i materiali utili alla realizzazione del progetto e condividerle con ordine e chiarezza con chi dovrà realizzarlo. Ad esempio, se si tratta della gestione di pagine Social, il project manager deve occuparsi di reperire dal cliente: i dati di accesso alla pagina se già esistente, tutti i materiali informativi utili alla costruzione di un piano editoriale crossmediale (brochure aziendali, siti internet, cataloghi, bilanci, organigramma aziendale, etc), le immagini a disposizione del cliente, il calendario degli eventi aziendali, e così via. Una volta ricevuto e organizzato il materiale, deve quindi sedersi al tavolo dell’art director, affinché studi la parte grafica che accompagnerà le pubblicazioni; del social media strategist, perché definisca la strategia di contenuti da applicare o di eventuali promozioni a pagamento; e del social media manager perché tali contenuti vengano sviluppati secondo le linee guida condivise. In altre parole, una grossa fetta del lavoro del project manager è dedicata al cosiddetto brief.

Realizzare: cosa fa il project manager
Questa è la fase più fattiva per tutti: il copywriter scrive, il grafico crea, il SEO indaga…e il project manager, cosa fa? In prima istanza, supervisiona e supporta gli altri. E’ il project manager che ha il contatto diretto con il cliente e che quindi può dare le giuste dritte a chi si trova a sviluppare contenuti o supporti. Contenuti e supporti che vanno poi revisionati, prima di poter essere inviati in approvazione al cliente, anche perchè, secondo la stessa logica di cui sopra, sarà sempre il project manager a rispondere in prima persona dell’operato dell’agenzia, perciò è bene che sia sempre informato su quanto viene fatto. Avere competenze nei campi in cui operano gli altri, pertanto, è un requisito fondamentale per il project manager che deve coordinare e valutare il lavoro altrui, prima, e motivarlo al cliente, dopo.
Verificare: indovina chi soffre di manie di controllo?
Ho scritto “controllo”, ma avrei dovuto dire “auto-controllo”. Non è solo un gioco di parole (anche se, bisogna dirlo, la pazienza è una delle caratteristiche imprescindibili del project manager): così come gli altri componenti del team, anche il project manager è coinvolto nella realizzazione della o delle attività e, per questo, passibile di verifica. Ma chi controlla il lavoro del project manager? Chi è al vertice della piramide aziendale, certamente. Oltre a questo, però, il pm ha altri 3 indicatori importanti del suo operato:
- l’analisi oggettiva dell’andamento del lavoro (sono state rispettate le tempistiche iniziali? è stata dato il giusto peso, economico e di fattibilità, alle singole lavorazioni?)
- l’analisi interna dei suoi collaboratori (la squadra di lavoro è riuscita a rispondere correttamente alle necessità di progetto? ha lavorato in modo fluido e secondo gli standard definiti?)
- l’analisi esterna del cliente (ci sono stati commenti, positivi o negativi, sull’andamento del lavoro? Sono stati rinnovati gli accordi o sono nate nuove possibilità di collaborazione?)
L’auto-controllo è, quindi, proprio il frutto di queste risposte che prevedono prima di tutto il controllo, ovvero la verifica che l’intero processo si svolga in modo soddisfacente sotto tutti i punti di vista e per tutti gli attori coinvolti. Questo non significa che non ci possano essere imprevisti o “intoppi”: ogni progetto ha le sue inevitabili altalene. Esaminarle e gestirle al meglio per raggiungere comunque l’obiettivo preposto è ciò che fa la differenza. Si potrebbe dire che il project manager è affetto da sindrome del “E vissero tutti felici e contenti”: vada per lupi-streghe-orchi, peripezie-incidenti-malintesi, magie-magheggi-ma-davvero?, ma almeno lasciateci il fine che, essendo spesso machiavellico, deve essere quanto meno lieto.
Quello che emerge, da questa breve gita nel mondo della gestione di progetti è che, al di là delle competenze tecniche proprie di ciascun ambito, il project manager deve essere dotato di numerose abilità personali, date dal carattere, dall’educazione o dall’esercizio: le inglesissime (e sempre più richieste) soft skills. Ciò che forse non emerge, invece, è il lato piacevole che questo lavoro comporta e che, almeno nel mio caso, si riassume in senso di novità e familiarità. Novità, perchè ogni progetto è nuovo e ogni cliente è diverso: ci sono dei pattern o delle casistiche che si ripetono, ma ogni volta che si intraprende una collaborazione, si ripropone anche il senso di incertezza ed entusiasmo che ogni cosa nuova porta con sé. Se si è fortunati da mantenere il rapporto abbastanza a lungo, al primo segue poi un senso di familiarità, sia con l’azienda (se ne impara a conoscere la realtà, le criticità, le idiosincrasie), sia con le persone: una specie di confidenza generata dal lavorare insieme che, sempre nei limiti del rapporto di lavoro, contribuisce a rendere più umano il volto del marketing.
Se siete alla ricerca di un’agenzia che gestisca (in modo preciso e impeccabile!) i vostri progetti di comunicazione, sapete a chi scrivere 😉