Caso #sacchetti: perché la news è diventata virale

sacchetti biodegradabili caso mediatico

Dalla compagnia del sacchetto al meme con Berlusconi che in piena trance agonistico-elettorale promette che con il suo Governo non ci saranno sacchetti a pagamento, ma borse Prada in omaggio! La polemica seguita all’introduzione per legge dei nuovi sacchetti biodegradabili a pagamento a partire dal 1° gennaio 2018, ha coinvolto tutti:dalle Istituzioni, ai giornalisti, agli addetti ai lavori della GDO, fino a tanti, tantissimi cittadini che hanno dato libero sfogo alla fantasia pubblicando foto, contenuti virali e fake news, in un flusso continuo che solo negli ultimi giorni ha visto un po’ di tregua. Terreno di battaglia, neanche a dirlo, i social, sempre più megafono dell’attualità e dei sentimenti (di parte) del Paese.

Vedremo cosa ci dirà a riguardo l’anno prossimo Twitter nel suo consueto #ThisHappened con i top trends annuali, ma non c’è dubbio che quello dei sacchetti biodegradabili sia un caso mediatico. Cosa lo rende tale? E in che modo hanno partecipato i diversi attori coinvolti?

Sacchetti biodegradabili caso mediatico: cosa ha determinato la popolarità?

Viralità e fantasia: il web scatenato attinge da arte, cinema e musica

Quella sui nuovi sacchetti è una legge che risponde a una direttiva dell’Unione Europea per combattere le plastiche inquinanti, motivo per cui la percentuale di biodegradabilità minima (che ora non deve essere inferiore al 40%), crescerà ancora nei prossimi anni. Tuttavia non è certo la nobile causa il motivo per cui in tanti in Italia si sono mobilitati sul web generando “il caso sacchetti”.

Cosa rende una notizia un caso mediatico? Non solo la viralità, che è il primo punto, ma anche il fatto che sia capace di generare creatività, di stimolare la fantasia, anche allargando il dibattito di partenza. Ecco un secondo aspetto che funziona nella comunicazione online e che ha reso i nuovi sacchetti biodegradabili così popular.

Anche i volti tv sono stati coinvolti dal dibattito accrescendo la visibilità della vicenda, da Luciana Littizzetto a Maurizio Crozza che alla questione sacchetti ha dedicato la sua anteprima di “Che fuori tempo che fa”, dichiarando: “Piuttosto bruco la verza dagli scaffali”.

Ma è sui social che la querelle sacchetti biodegradabili a pagamento ha dato il meglio di sé con una comunicazione irriverente e contagiosa, che ha scomodato l’arte e il cinema a suon di hashtag #sacchetti, dal Vertumno dell’Arcimboldo, irriconoscibile e tappezzato di etichette con codice a barre

https://www.instagram.com/p/BdpuD2ejd9j/?tagged=sacchetti

fino a un grande classico della cinematografia anni ‘80, che per l’occasione su Instagram è diventato “Il tempo delle mele…senza il sacchetto”.

https://www.instagram.com/p/BdlMslmAFWq/

C’è poi chi invoca il partito dei sacchetti, chi guarda alla soluzione Svizzera, chi elogia la civiltà dell’Inghilterra, chi urla al gomblotto che favorisce “gli amici degli amici”, chi sperimenta la biodegradabilità lasciando i sacchetti due settimane a mollo nella vasca da bagno e chi chiama in causa il terribile Pietro Savastano di Gomorra che intima “Ce ripijamm tutt e sacchett che sò nuostr…”.

Insomma, per diventare un caso mediatico oggi la notizia non può fare a meno dei social, che sono fatti soprattutto di numeri e di influencer. Solo su Instagram si contano 10.227 post legati, in maniera più o meno pertinente, all’hashtag #sacchetti, ospitando una spassosa galleria di foto e meme diventati virali: perfino l’iconica banana dell’album dei Velvet Underground & Nico (con Andy Warhol) non è stata risparmiata e si è ritrovata su Instagram con l’etichetta “banane sfuse, 1,05€”.

https://www.instagram.com/p/BdkVYmpBlop/

Dal canto suo Twitter, essendo il social delle parole (o dei 280 caratteri!), è stato il terreno di gioco del vero e proprio dibattito sui sacchetti, con migliaia di tweet a colpi di polemica, botta e risposta e condivisione di articoli (questo anche su Facebbok), con il coinvolgimento di nomi “influenti”, da Dio a Gianpaolo Spinato, a volti televisivi, fino, naturalmente, a numerosi politici nostrani.

Politica e campagna elettorale: tutti coinvolti

Già, perché quello dei sacchetti biodegradabili è un caso mediatico anche per alcuni aspetti molto italiani e di attualità nazionale: in primo luogo, mai mettere la mano nel portafoglio degli italiani e (correlata) mai farlo in campagna elettorale! Infatti, il dibattito è virale perché è diventato argomento elettorale, con gli oppositori di Renzi e del Pd che cavalcano la teoria del complotto per guadagnare punti. Tutto nasce, ormai ne hanno scritto in tanti, dal fatto che l’ad di Novamont, azienda leader nel settore delle bioplastiche, è Catia Bastioli, che partecipò alla Leopolda renziana nel 2014, episodio a cui seguì anche una visita dello stesso Renzi alla fabbrica novarese durante il tour del suo treno elettorale. È vero, ci sono circa altre 150 aziende italiane che producono bioplastiche (fatto evidenziato anche da autorevolissime realtà come Legambiente) e sì, pensare che le politiche ecologiche per la riduzione della plastica abbiano risvolti così provinciali è certamente riduttivo e a tratti fazioso, ma il caso è mediatico perché il sospetto conflitto di interessi Renzi- Novamont è sufficiente a creare un polverone, senza bisogno che qualcuno si premuri di verificare come stanno davvero le cose.

Fake news: l’importante è che se ne parli

Così succede che, nella ricerca sfrenata del vantaggio elettorale e nella modalità “mordi e fuggi” di cercare e leggere notizie senza approfondire (o riflettere) tipica dei tempi, ci si perde dei pezzi per strada, lasciando campo libero alle fake news, che hanno caratterizzato anche il caso dei nuovi sacchetti per i prodotti sfusi. Del resto, non c’è caso mediatico che si rispetti senza la sua buona dose di scivoloni, mezze verità, trash e demagogia.

A partire dai tentativi di ribellione alla norma, minuziosamente documentati a suon di foto Instagram, che consistono spesso nell’usare impropriamente i guanti usa e getta dei supermercati al posto dei sacchetti o nell’etichettare frutta e verdura senza sacchetto. Salvo poi scoprire che il tanto odiato costo delle nuove buste viene calcolato automaticamente per ogni codice a barra, per cui a meno che la frutta e la verdura non si rubino, è dura scamparla…big fail verrebbe da dire.

https://www.instagram.com/p/BduaeAoBXv6/?tagged=sacchetti

Tutta la vicenda mediatica e squisitamente social dei #sacchetti è abbondantemente condita in salsa fake news. In poco meno di un mese sono stati pubblicati oltre 1000 articoli su tutti i principali quotidiani e web magazine, anche con ottimi approfondimenti, ne hanno parlato radio e tv, ma la confusione regna ancora sovrana.

Lo stesso Codacons (che pare abbia già avviato oltre 104 ricorsi) inciampa, dichiarando che il Governo tratta i cittadini come sudditi, avvalorando il sospetto che il costo dei sacchetti biodegradabili sia una nuova forma di tassa, quando invece, per sua natura non lo è. Molti, infatti, nel dibattito di questo mese hanno sostenuto che il pagamento dei famigerati 2 centesimi sia un’imposta, ma è falso, perché nessun tributo va allo Stato e i ricavati rimangono nelle tasche degli esercenti (che tuttavia fanno scudo comune con i consumatori contro il costo dei sacchetti).  Ma poi la nuova legge non era un regalo alla Novamont amica di Renzi?

La benzina sul fuoco alimenta certamente la viralità del dibattito e c’è chi approfitta di una comunicazione volutamente fumosa traendone vantaggio, almeno se ci limitiamo a dare un’occhiata ad alcuni numeri.

Socialbeat, azienda che fornisce dati sui trend del web, ha analizzato l’andamento social delle news sui sacchetti nel giro di 72 ore (a partire da venerdì 5 gennaio alle 18). In questa analisi è molto interessante scoprire, ad esempio,  che la notizia più condivisa sull’argomento è stata pubblicata da InformareXResistere, sito conosciuto per aver diffuso bufale e notizie poco approfondite, con il solo obiettivo di ottenere visibilità. Non c’è dubbio che in questo caso mediatico la loro comunicazione online ne esca vittoriosa, infatti l’articolo “Sacchetti di plastica a pagamento: inizia la “resistenza” degli italiani” del 2 gennaio 2018 ha ottenuto 85K tra like e share. Qui la comunicazione efficace è stata nell’uso delle foto pubblicate sui social dai lettori, ma, soprattutto, nel fattore tempo. Sono stati bravi a cavalcare subito la notizia, perché ricordiamocelo, approfondire e offrire più punti di vista richiede tempo.

dati social

 

social due

social tre

Fonte: Socialbet.it

Web e social come luogo primario di confronto

Un aspetto molto interessante per chi si occupa di comunicazione è che anche la GDO ha preso posizione attraverso i social, formalizzando sempre più il loro ruolo di arena politica, di megafono dell’attualità, ma anche di voce ufficiale e istituzionale. Questo è certamente un aspetto che contribuisce a creare un caso mediatico. Qui i social network (in particolare Twitter, sempre più il social delle digital PR) sono stati usati dalla GDO per difendersi da chi li accusava di speculare sui proventi della vendita online. Al grido di “meno costi e più chiarezza” Giorgio Santambrogio, Amministratore Delegato Gruppo VéGé e Presidente ADM è stato uno dei più attivi su Twitter, trovando la solidarietà di molti colleghi, da Conad a Coop Alleanza 3.0, che hanno sottolineato la loro contrarietà a far pagare ai cittadini le nuove buste e la volontà di ottenere chiarezza su una legge che sarà anche buona e giusta, ma è piena di lacune, soprattutto nella sua applicazione e comunicazione.

Quindi, se la grande distribuzione organizzata si è mossa bene, comunicando in modo chiaro sui social e sfruttando la loro cassa di risonanza facendo fronte comune, i Ministeri ne escono bocciati su tutta la linea, per aver comunicato in modo contraddittorio e confusionario. Anzi, possiamo dire che nel caso più mediatico di inizio anno, la comunicazione istituzionale è proprio mancata, sia prima dell’entrata in vigore della legge, sia nel primo mese di applicazione.

Comunicazione istituzionale malriuscita

Partiamo dalla fine. Il Ministero dell’Ambiente, dello Sviluppo Economico e della Salute non si sono messi d’accordo (fatto clamoroso) sulla possibilità da parte del consumatore di fare la spesa portandosi un sacchetto da casa e di poterlo riciclare, anche perché le implicazioni sono molte, non ultimo il fatto che se ognuno andasse col proprio sacchetto ci sarebbe un rischio di contaminazione microbica tramite le bilance. Nella confusione totale, il Ministero della Salute ha dichiarato, infine, che si possono portare sacchetti da casa a patto che siano monouso e idonei per alimenti (stessi standard di legge), così la GDO dovrebbe anche occuparsi di fare il cane da guardia! Peccato perdere l’occasione di una legge positiva, che vuole tutelare l’ambiente, comunicandola male e non riuscendo a prevenire le possibili polemiche e criticità che avrebbe generato…ai Ministeri ora non rimane che giocarsi tutto con un’efficace comunicazione di crisi sui social, per recuperare la fiducia perduta dei cittadini.

Tuttavia, la comunicazione istituzionale è stata fallimentare fin dal principio. Il caso sacchetti biodegradabili è diventato mediatico anche perché la mancanza di informazioni chiare ha generato confusione e rabbia nelle persone: l’introduzione della nuova legge non è stata accompagnata da un’efficace campagna di sensibilizzazione, che avrebbe dovuto spiegare ai cittadini i motivi per i quali è nata, la direttiva europea e gli obiettivi del provvedimento, per poi entrare nel merito dei cambiamenti pratici che avrebbe comportato; serviva una comunicazione graduale, lunga e digeribile. Sì, almeno lei, visto che sembra che i nuovi sacchetti biodegradabili e compostabili non siano molto apprezzati dai nuovi digestori. Cosa sono? Gli impianti di compostaggio che dovrebbero occuparsi della loro degradazione! Un bel pasticcio, tanto che l’Agenzia Provinciale per l’Ambiente della Provincia Autonoma di Bolzano ha dichiarato che “i tempi di degradazione dei sacchettini influirebbero in modo negativo sul processo di trattamento dell’organico. Altro aspetto negativo: spesso i sacchetti bio si incastrano tra gli ingranaggi degli impianti con guasti al sistema”, per cui i nuovi sacchetti biodegradabili in Alto Adige non funzionano per l’organico.

Addio all’economia circolare e via ad una nuova polemica!

Caso sacchetti: chi ci ha guadagnato?

Rimane un ultimo aspetto da analizzare: quello dei nuovi sacchetti biodegradabili è un caso mediatico perché sta modificando i consumi.

analisi agroter

Infatti, come racconta Veronica Ulivieri su La Repubblica, secondo un’indagine Agroter su circa 500 consumatori, “in sole due settimane il 44% dei consumatori ha rimodulato il proprio modo di fare la spesa in funzione della nuova legge, spostandosi verso l’ortofrutta già confezionata o surgelata e addirittura abbandonando il supermercato in favore dei negozi al dettaglio”, nonostante un’indagine IPSOS Public Affairs di settembre 2017 avesse rivelato che il 59% degli italiani si dichiara disponibile a pagare i 2 centesimi in favore dell’ambiente.
Una bella batosta! In gran parte alimentata da una disinformazione diffusa, che rappresenta il vero fil rouge di tutto il caso mediatico sui sacchetti.

Ora non rimane che vedere come andrà a finire e quali soluzioni verranno adottate: la norma verrà modificata o le alternative verranno lasciate alla singola iniziativa della grande distribuzione? Si tratterà di tanto fumo e niente arrosto? In effetti è possibile che ci abitueremo, così come abbiamo fatto anni fa con la legge che ha vietato il fumo nei locali pubblici, ma di certo ci ricorderemo del dibattito #sacchetti. Purtroppo, in questo caso specifico, sono più i riscontri negativi che ne hanno fatto un caso mediatico: dall’aver messo mano al portafoglio dei cittadini, passando per l’assenza di un’adeguata comunicazione, fino al diffondersi delle teorie del complotto e delle fake news. 

Il Festival del Giornalismo Alimentare aveva decretato l’olio di palma caso mediatico 2016 e ora, a poco più di un anno, è ancora il settore agroalimentare ad essere sotto le luci della ribalta. Qui le motivazioni sono molto diverse, ma di comune c’è la questione ambientale, i mezzi di comunicazione e il fatto che il cibo tira un sacco! Molti lo sanno e ne approfittano, alimentando facili polemiche e diffondendo notizie poco affidabili, tuttavia occorre fare molta attenzione, perché oggi le fake news hanno le gambe più corte di qualche tempo fa, quindi per comunicare bene non basta spararla grossa: si guadagneranno più visualizzazioni all’inizio e si arriverà facilmente in cima ai trending topics di Twitter, ma presto si verrà smascherati, con effetti negativi amplificati.  Autorevolezza delle fonti e approfondimento dei contenuti sono ancora requisiti indispensabili perché la propria comunicazione venga premiata, da Google, dai lettori e dalla propria deontologia.

In base alla vostra esperienza, quali sono gli ingredienti che non possono mancare per rendere una notizia un caso mediatico?

Fonte immagine in evidenza: @lucilla171

Elena Rizzo Nervo

Giornalista pubblicista, laureata in Sociologia, dopo un master in Comunicazione ambientale si forma professionalmente presso l’Associazione Italiana Agricoltura Biologica dell’Emilia Romagna e in un’agenzia di organizzazione eventi. Si dedica poi alla comunicazione per il web, approfondendo in particolare il mondo del web e SEO copywriting. A Noetica, dove arriva nel 2016 come redattrice per Il Giornale del Cibo, è project manager e responsabile dei progetti editoriali, oltre ad occuparsi di formazione e eventi. Dal 2021 è la Direttrice responsabile de Il Giornale del Cibo.

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