Come parlare alla Generazione Z sui social media

gen z e social

La Generazione Z è la popstar del marketing contemporaneo. Ovunque ti giri, trovi un’analisi, una guida, un webinar dal titolo “Come conquistare i cuori (e i portafogli) della Gen Z”. Eppure, tra un reel fuori sync e un hashtag usato a sproposito, molti brand sembrano ancora fermi alla fase «ci abbiamo provato, ma non ha funzionato».
Spoiler: se pensi che basti buttare lì un meme di Squid Game o usare il font Comic Sans per risultare simpatico, questo articolo fa proprio per te.

Chi sono, allora, questi mitici Gen Z? Parliamo di una generazione nata tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del 2010, cresciuta con uno smartphone tra le mani e un algoritmo nella testa. Capirli significa abbracciare le logiche del marketing generazionale, che non si accontenta di un target demografico ma ne studia profondamente valori, codici e linguaggi. Costituiscono oltre il 32% della popolazione mondiale e solo negli Stati Uniti – secondo Bloomberg – contano su un potere d’acquisto che superava i 360 miliardi di dollari già due anni fa (e no, non li spendono solo in sneakers e bubble tea). Sono veloci, ironici, consapevoli e tremendamente allergici ai contenuti che sanno di marchetta.

In questo articolo ti presentiamo strategie pratiche e consigli concreti per entrare davvero in sintonia con la Generazione Z: scoprirai cosa li distingue, cosa li allontana da un brand e, soprattutto, come comunicare con loro in modo autentico e davvero efficace. Il tutto accompagnato da esempi reali e spunti utili per rendere la tua comunicazione più vicina a chi, sui social, ci è nato.

Perché alla Gen Z non piacciono le chiacchiere. E neanche al team di Noetica!

Chi è la Gen Z e cosa cerca sui social?

Sono i primi veri nativi digitali, cresciuti a pane, Wi-Fi e feed scrollabili. Non ricordano un mondo senza smartphone, né senza meme..e guai a dirgli che il mondo era meglio prima! Per loro, il cellulare non è un oggetto, è un’estensione della mano (il 98% ne possiede uno e lo usa h24).

E no, non basta dire «ciaone» in un copy per entrare in sintonia: hanno il radar anti-boomer sempre acceso. Se un brand finge di capirli, se ne accorgono prima ancora che la caption finisca. Sono iperconnessi, informati, la generazione più istruita e diversificata di sempre. Non hanno paura di esporsi, schierarsi e lottare per quello in cui credono. Ambiente, diritti civili, politica: vogliono brand che non restino neutrali, ma che dimostrino un impegno vero, non solo storytelling da campagna ADV.

Hanno un’attenzione breve? Sì. Colpa degli stimoli continui, dei video da 15 secondi e dei mille contenuti che masticano ogni giorno. Perciò, o li agganci subito, o sei swipe-ato via senza pietà. E soprattutto: pretendono autenticità. Niente filtri, niente slogan vuoti. Apprezzano i brand che sanno mettersi in discussione, che parlano chiaro e che costruiscono relazioni vere. Vogliono sentirsi parte di qualcosa, non solo destinatari passivi di una campagna pubblicitaria.

Morale della favola? Se non sei autentico, coinvolgente, diretto e real, la Gen Z non ti considera. Se, invece, riesci ad entrare nel loro universo con rispetto e verità, potrebbero essere i tuoi primi ambassador e migliori alleati. Regola aurea: i balletti su TikTok non sono obbligatori o necessari.

Gen Z: quali piattaforme presidiano?

La Gen Z non è introvabile, semplicemente non è dove i brand tradizionalmente cercano i clienti. Ecco perché prima di parlare con loro, bisogna scoprire quali piattaforme presidiano e vivono:

TikTok è il nuovo Google: qui cercano informazioni, ispirazione e trend, usando il social network come un vero e proprio motore di ricerca. Il tono? Dovrà essere ironico, veloce, i contenuti visual immediati e d’impatto.

Instagram reels e YouTube shorts: il video breve resta il formato che la Gen Z apprezza di più: formati verticali, ritmi serrati, impatto visivo forte. Niente fronzoli, niente chiacchiere, solo messaggio chiaro e spiegato in maniera…wow!

YouTube “lungo formato”: sì, c’è anche chi si ferma più di 15 secondi, soprattutto per approfondimenti (nei settori beauty, tech, lifestyle) o contenuti narrativi ben fatti.

Snapchat e Twitch: le outsider che non si possono ignorare. Twitch in particolare è un mondo a sé, tra live spontanee e community affezionate. Qui non si vende, si conversa.

LinkedIn: sono sorprendentemente attivi anche lì. Ma attenzione: è il posto giusto per parlare di carriera, soft skill, lavoro sostenibile e innovazione. Sconsigliamo, ad esempio, di usare il carosello per illustrare un nuovo prodotto fashion-tech.

Newsletter: solo se belle, utili e… brevissime. L’oggetto deve conquistare, il contenuto risolvere. Altrimenti, archiviate per sempre.

Facebook: Sì, ma solo per i gruppi della scuola guida. Tradotto: non investite lì per parlare alla Gen Z. È come cercare i clienti in un museo quando volevano andare ad un festival.

Ogni canale ha il suo perché. L’importante è non sbagliare porta d’ingresso. Perché se cerchi di parlare ai nativi digitali su una piattaforma che loro hanno disinstallato nel 2019, stai completamente sbagliando strategia.

Oltre la pubblicità tradizionale: il nuovo approccio al marketing della Gen Z

Dimentica lo spot patinato da 30 secondi e la réclame in prima serata: per la Gen Z, la pubblicità è ovunque: nei feed, tra le storie, nei video che guardano mentre fanno finta di studiare. Ma c’è un piccolo dettaglio: se sembra pubblicità, non funziona. Vuoi attirare la loro attenzione? Devi meritartela! Serve autenticità, un’estetica aggiornata e un messaggio che dica davvero qualcosa di importante.

Nel loro mondo fatto di meme, emoji usate come codice segreto e TikTok da 15 secondi, la comunicazione deve parlare la loro lingua. E no, non basta usare uno slang forzato o infilare un “raga” ogni tre parole. Bisogna capire le dinamiche digitali: ironia veloce, riferimenti pop, metafore visive che funzionino al volo. Se non capiscono subito cosa vuoi dire, scorrono. E il tuo brand? Sparisce!
I contenuti devono essere brevi, d’impatto e condivisibili senza pensarci troppo. Una storia, un reel, un post? Devono farli ridere, pensare o dire «esatto!».

5 tips per comunicare con la Gen Z in maniera efficace

Quando si parla di Generazione Z, l’errore strategico più comune è adottare una comunicazione unidirezionale e impersonale, come se si trattasse di un target da convincere. Con questa generazione non funziona: non basta parlare a loro, bisogna parlare con loro, entrando nel loro immaginario linguistico, visivo e culturale. In altre parole: servono coerenza e ascolto attivo. Ecco alcuni consigli per declinare tutto questo nella pratica:

  1. Abbandona la retorica, adotta il linguaggio nativo digitale: niente claim patinati, tone of voice aziendali fuori tempo massimo o visual da stock. La Gen Z riconosce l’inautenticità a metri di distanza e la penalizza con l’indifferenza. Preferisce contenuti imperfetti ma autentici, visual spontanei e storytelling reale, con volti veri e contesti quotidiani. L’obiettivo non è imitare il loro stile, ma costruire una comunicazione che parli la loro lingua senza risultare forzata.
  2. Sfrutta il potenziale dei contenuti generati dagli utenti (UGC): per la Gen Z, il contenuto autentico condiviso da pari vale più di qualsiasi campagna da centomila euro. Una recensione vera, una story taggata, una foto scattata da un cliente soddisfatto sono leve strategiche per costruire social proof e credibilità. Incentiva la condivisione, seleziona i contenuti migliori e valorizzali nel tuo piano editoriale: così non costruisci solo awareness, ma anche fiducia.
  3. Punta sulla personalizzazione avanzata, dai dati all’esperienza: inserire il nome del destinatario in una DEM non è personalizzazione, è il minimo sindacale. Oggi è possibile e necessario offrire esperienze costruite sui dati reali degli utenti: preferenze, comportamenti d’acquisto, momenti significativi. Che si tratti di un’offerta per il compleanno o di un consiglio d’acquisto mirato, la Gen Z si aspetta di essere riconosciuta come individuo, non come un ID nel CRM.
  4. Dalla community al brand advocacy: questa generazione cerca appartenenza, non solo contenuti. Costruire una community significa creare un ecosistema relazionale, in cui le persone possano sentirsi parte attiva del brand. Che sia un gruppo Telegram, un server Discord, una sezione commenti animata o eventi fisici, ciò che conta è il senso di connessione. Bonus tip: coinvolgere un moderatore Gen Z può essere una scelta strategica per mantenere engagement e linguaggio coerenti con il pubblico.

4 leve di engagement per la Gen Z che non possono mancare nella tua strategia social

Per intercettare e mantenere la loro attenzione, è necessario superare i modelli tradizionali di marketing e orientarsi verso approcci più immersivi, relazionali e tecnologicamente evoluti. Questa generazione risponde meglio a strategie che combinano influenza autentica, esperienze personalizzate e un uso intelligente della tecnologia. Ecco le leve più efficaci:

  1. Influencer marketing mirato e credibile: oggi il 61% della Gen Z dichiara di fidarsi delle raccomandazioni degli influencer, contro il 51% del 2019. Ma attenzione: non parliamo di celebrità con milioni di follower. Sono i micro e nano influencer (creator con community ristrette ma fortemente ingaggiate) a garantire i migliori risultati in termini di connessione e fiducia. Il loro impatto è reale perché parlano la lingua del pubblico, condividono valori comuni e generano contenuti non artefatti.

    Per massimizzare l’efficacia, è essenziale offrire loro autonomia creativa: forzare uno script o un format standardizzato riduce l’autenticità e allontana il target. Una strategia complementare? Formare i propri dipendenti come brand ambassador digitali, pubblicando sui propri canali contenuti EGC (employers generated content): il contenuto interno è spesso percepito come più sincero e accessibile.

  2. Innovazione come leva di differenziazione: per la Gen Z, la tecnologia non è un valore aggiunto, è la base minima per essere considerati rilevanti. I brand che sfruttano l’innovazione esperienziale, attraverso strumenti come AR, VR, virtual try-on o showroom interattivi, riescono a distinguersi nel rumore di fondo dei social.

    A questo si affianca un uso avanzato dell’intelligenza artificiale: suggerimenti personalizzati, chatbot evoluti per customer care in tempo reale, e segmentazione comportamentale permettono di costruire journey su misura ad alto valore percepito. Anche il funnel d’acquisto deve essere fluido: via libera a mobile payment, wallet digitali e opzioni buy now-pay later, riducendo la frizione nel passaggio dalla scoperta all’acquisto.

  3. Promozioni sì, ma con un contesto: se è vero che la Gen Z cerca brand con un purpose chiaro, è altrettanto vero che è sensibile al valore percepito. Le promozioni possono ancora funzionare, specialmente nelle fasi iniziali del funnel, purché siano contestualizzate e integrate in programmi di fidelizzazione o community benefit (es. early access, sconti esclusivi per membri attivi). L’obiettivo è far sentire il cliente parte di qualcosa, non solo un destinatario di uno sconto.

  4. Dimentica la pubblicità tradizionale (o ripensala radicalmente): il 69% della Gen Z trova gli annunci sponsorizzati fastidiosi e distrattivi. Il problema non è il formato, ma il contenuto: se una sponsorizzata sembra una pubblicità è già fuori tempo. Se scegli di usarle, assicurati che siano narrative, utili o intrattenenti: un contenuto educativo o ironico che risponde a un bisogno reale ha molte più possibilità di essere accettato, condiviso e ricordato rispetto a un classico messaggio promozionale.

Social media e Generazione Z: brand che fanno scuola

Ah, la Gen Z! Un target affascinante quanto sfuggente, incatenato al proprio smartphone ma desideroso di autenticità. In questa sezione trovi due esempi concreti da cui prendere appunti e trarre ispirazione.

Tuborg, la birra che fa breccia nei cuori della Gen Z

Con la campagna Feel the Drop, il brand ha dimostrato di aver colto in pieno l’anima della Gen Z, virando verso un approccio che, diciamocelo, è una boccata d’aria fresca in un panorama pubblicitario spesso troppo didascalico.

Il brand ha intercettato un dato cruciale: questa generazione è stressata. Pare che 1 su 2 si dichiari troppo stressato per godersi i piaceri della vita. Addio spensieratezza, benvenuto doomscrolling. Qui non si tratta di vendere solo una birra, ma una soluzione a un problema esistenziale (o almeno, così la vendiamo, no?). Invece di dirci cosa fare, Tuborg ha scelto la musica come leva emozionale. Geniale!

La campagna è il cuore pulsante di una strategia anti-doomscrolling. Immaginate la scena: un festival, musica a palla, ma qualcuno è incollato allo schermo dello smartphone. Un classico. Il momento catartico arriva quando il DJ stappa una Tuborg. E qui arriva il colpo di genio (o di marketing, dipende dai punti di vista): il “pop” del tappo coincide con il beat drop, creando una vera e propria esplosione emotiva che trascina tutti nel presente. È la metafora perfetta: basta un semplice gesto per riconnettersi alla realtà. Il drop musicale diventa così simbolo di libertà e di un ritorno a sé stessi, un linguaggio diretto e comprensibile per la Tuborg Gen Z. Sembra quasi che la birra sia una specie di defibrillatore per l’anima digitale.

È importante sottolineare un elemento aggiuntivo. Tuborg lavora su tantissime sponsorship a festival estivi e musicali che la Gen Z predilige. E questa è sicuramente una strategia vincente! Non solo perché posiziona il brand esattamente dove la Gen Z si diverte e si sente libera, ma anche perché rafforza in modo tangibile il messaggio della campagna. Non è solo una pubblicità; è un’immersione nel loro habitat naturale. Ed è così che si passa da un “pop” in uno spot a un legame emotivo che dura tutta l’estate.

Dove, il brand che ha tolto i filtri a colpi di autenticità

C’è chi rincorre le mode e chi, come Dove, le anticipa con discrezione e coerenza strategica. Mentre mezzo mondo si lanciava su filtri e luci ring a simulare la perfezione digitale, loro hanno deciso di disinnescare la bomba dell’estetica artefatta con un messaggio tanto semplice quanto radicale: la bellezza vera non ha bisogno di editing. Un’idea che, detta così, può sembrare da manuale motivazionale, ma che nella realtà si è trasformata in una campagna globale ad alto impatto emotivo e sociale, capace di entrare nel cuore della Gen Z, sempre più allergica agli standard irraggiungibili del “bello da copertina”.

Il brand ha puntato dritto al centro di un disagio largamente diffuso: la pressione costante di apparire perfetti sui social, dalla foto profilo al boomerang in palestra. La Gen Z vive questa dinamica sulla propria pelle: ogni scatto viene analizzato, ritoccato, ripetuto. Il primo scatto, quello spontaneo, reale, viene sistematicamente scartato. Un comportamento che nasconde insicurezze profonde e standard interiorizzati, spesso alimentati dalle stesse piattaforme che dovrebbero connettere. E così arriva #ShareTheFirst, la campagna che invita le persone a condividere il primo scatto, senza ritocchi, senza filtri, senza maschere. Un gesto semplice, ma dalla potenza psicologica impressionante: quel primo scatto è il più autentico, quello ancora libero dall’ansia da like. Non si tratta solo di un hashtag: è una vera e propria call to action sociale mascherata da contenuto user-generated. Dove ha fatto centro coinvolgendo volti noti come Bebe Rexha, affiancata da creator vicini ai valori della Gen Z. La chiave? Autenticità accessibile, lontana dai cliché da passerella.
Non solo storytelling: la strategia ha dato frutti misurabili. Dopo il lancio della campagna, è stato osservato un calo nella tendenza a rifare o cancellare scatti “imperfetti” e un aumento dell’intenzione di acquisto del marchio. Sì, perché essere rilevanti culturalmente ha un impatto anche sul business. Altro che vanity metrics!

Attrarre e coinvolgere la Generazione Z non è una questione di like, filtri ed emoji sparati a caso. È una strategia complessa, ma piena di opportunità per chi ha il coraggio di cambiare rotta: autenticità, trasparenza, coinvolgimento e ironia sono le parole chiave. Ma non bastano!
Vuoi costruire una strategia che parli davvero alla Gen Z? Il team di Noetica è pronto a supportarti con competenze scientificamente informate, dati solidi e una visione creativa. Contattaci per una consulenza personalizzata e trasforma la tua comunicazione in un dialogo che conta.

Lucia Cataleta

Dopo una laurea in Scienze dell’Informazione Editoriale, Pubblica e Sociale, un Master in Giornalismo, Editoria e Management culturale e esperienze lavorative come giornalista e ufficio stampa, approda nel mondo dei social network, integrando le conoscenze acquisite con i trend della comunicazione digitale. Dal 2015 esercita la professione di social media manager freelance, collaborando con aziende e realtà di diversi settori: food & beverage, retail marketing, terzo settore, arte e eventi culturali. Collabora assiduamente con Noetica per i comparti social media marketing e blogging. Esperta di media strategy, ha all’attivo docenze e seminari presso istituti pubblici e privati, formando nuovi professionisti nel campo del social media management e della comunicazione.

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