Il web è quel posto in cui i brand boicottati dal “popolo del web” sono subito considerati falliti. Se un’azienda commette una gaffe pesante o si trova al centro di uno scaldalo, partono immediatamente azioni di boicottaggio contro la marca e i suoi prodotti. Quanto siano dannosi questi boicottaggi è una cosa su è bene riflettere.
Di boicottaggio si è parlato dopo la gaffe di Guido Barilla, che l’anno scorso durante un programma radiofonico ha dichiarato che la sua azienda non avrebbe mai utilizzato altre famiglie per i suoi spot al di fuori di quella tradizionale: una dichiarazione semplice che ha scatenato una inimmaginabile valanga di critiche provenienti da tutto il mondo che contestavano questa presa di posizione. Tutti dissero di non voler avere a che fare più con Barilla e si è parlato di boicottaggio del brand.
E di boicottaggio si è parlato anche dopo lo scandalo denunciato dalla trasmissione Report, sul marchio Moncler che pare facesse spiumare vive le oche per ricavare le piume per i suoi capi. E poi ci sono stati altri casi: Patrizia Pepe e la campagna con la modella anoressica, Nestlé che vietò agli utenti di utilizzare il proprio logo come immagine del profilo personale e infine, il recente caso di Nivea contro Neve, una piccola azienda piemontese di cosmetici non testati sugli animali.
Da Barilla a Nivea tutti questi casi hanno in comune una sola cosa: hanno vissuto giorni di intensi di crisi che si è tramutata in un’ondata di feedback negativi sul web. Ma questi casi di boicottaggio sono un reale pericolo per il brand? Se si, in quale misura? Di che cosa sono fatti i boicottaggi sul web? E infine: riescono veramente a cambiare le sorti di un’azienda?
Differenza fra boicottaggio e protesta
Il boicottaggio è un’azione individuale o collettiva coordinata volta a isolare una persona, un’ente o azienda perché i suoi comportamenti non sono ritenuti adatti o corretti, il tutto al fine di modificarne la condotta. La protesta invece è una manifestazione più o meno controllata verso persone enti o organizzazioni al fine di comunicare un dissenso o un’opinione differente. Il boicottaggio è un’azione più profonda della protesta perché prevede azioni precise volte ad isolare l’azienda in maniera concreta. La protesta si può arginare il boicottaggio è più difficile da contrastare.
Parlare di boicottaggio ogni volta che un’azienda è protagonista di uno scandalo non è sempre giusto, perché prima di tutto non possiamo misurare l’azione concreta delle persone nei confronti dell’azienda stessa (quanti realmente smettono di comprare i prodotti di un’azienda dopo uno scandalo?) e inoltre, nella maggior parte dei casi, i feedback negativi che arrivano sul web non sono sempre indicativi del sentimento generale del target di riferimento ma sono ascrivibili solo ad una cerchia ristretta di consumatori che spesso e volentieri non rientrano neanche nel target dell’azienda coinvolta.
Prendiamo il caso Nivea: l’azienda di cosmetici di proprietà della Beiersdorf si è scagliata contro una piccola azienda di Moncalieri, molto popolare fra le giovani ambientaliste, ritenendo che il brand Neve fosse troppo simile a Nivea e che dunque fosse illecito usarlo per prodotti cosmetici. Il giudice dopo aver dato ragione a Nivea ha ordinato a Neve di ritirare tutti i prodotti a marchio perché ritenuti dannosi per il brand “concorrente”.
Un caso che ha suscitato polemiche e ha riversato sui canali social di Nivea una quantità immonda di commenti negativi e pro-Neve. Si è gridato subito al boicottaggio, sono stati scritti articoli e pagine intere di giornali, i blogger hanno analizzato la gestione social di questo casino e i tuttologi hanno analizzato i danni d’immagine per Nivea, sono state prese d’assalto le pagine ufficiali del brand e sono state lanciate petizioni, raccolte firme e scritti ancora articoli a riguardo. Il tutto è durato 3 giorni. 4 massimo, se includiamo gli strascichi dei polemici più incalliti.
La gente ha veramente boicottato il brand Nivea in seguito a questa vicenda? Difficile confermarlo, per adesso sappiamo solo che la gente si è arrabbiata e lo ha manifestato sul web. Ciò che sarebbe importante sapere, per parlare di boicottaggio con cognizione di causa, è se:
- le proteste sono partite da clienti effettivi di Nivea che hanno cambiato realmente opinione in seguito allo scandalo
- il cambio di opinione corrisponde ad un effettivo cambio di abitudini d’acquisto
Non si può parlare di boicottaggio senza misurare queste due variabili. Si può parlare forse di danno d’immagine temporaneo ma se la gente dopo due mesi continua a comprare i tuoi prodotti nonostante tutto, il boicottaggio non c’è stato.
La sempre maggiore frequenza con cui si urla al boicottaggio e si lanciano petizioni per questa o quella causa non fa che aumentare l’inconsistenza di certe nostre azioni online; protestare sul web sta assumendo il significato di un ossimoro, perché manca un’azione reale che porti ad un cambiamento concreto.
Ci si è ridotti a confondere le azioni con le espressioni di opinione. Cliccare un bottone con su scritto “Protesta anche tu” non ha lo stesso valore della scelta di una mamma di non comprare più Barilla perché non condivide i valori della marca, e questo le aziende lo sanno infatti come da copione superano le brand crisis sui social limitandosi al silenzio stampa e aspettano che la burrasca passi. Ciò che verrà dopo dipende dalla gravità dello scandalo e dall’astuzia dell’azienda.
Casi gravi e casi meno gravi
Esistono ovviamente casi gravi e casi meno gravi, quelli che fin ora hanno indignato di più scatenando dure proteste (non boicottaggi!) sono stati quei casi che hanno riguardato questioni etiche e sociali: Barilla e l’omofobia, Moncler e il rispetto degli animali. Ci sono poi tutta una serie di casi in cui il “popolo del web” scatena proteste lampo che più che impaurire i brand aumentano solo la convinzione di chi pensa di poter cambiare le cose a suon di click.
Dopo lo scandalo delle oche spiumate vive, Moncler ha incontrato gli animalisti e cercato di aprire un dialogo sui processi di produzione dei suoi piumini avviando così un’azione di brand washing , Barilla invece ha inaugurato una massiccia operazione di apertura nei confronti delle famiglie gay e persino dei transgender e si è ripresa alla grande. Anzi, pare che nel Sud Italia la quota di mercato sia addirittura cresciuta.
Patrizia Pepe, Nestlé, Pomì e adesso anche Nivea, sono tutti brand che i giornali hanno definito boicottati ma che in realtà, a livello di brand reputation godono di buona salute. A loro è bastato far sgonfiare la protesta e far dimenticare l’intoppo. Adesso è tutto come prima.
È un dato di fatto, ormai, che siamo bravi a far ritornare sul mercato un prodotto dimenticato ma non siamo bravi a cambiare il nostro comportamento davanti ad un’azienda che mostra evidenti incongruenze con quelle che sono le nostre idee. Stiamo perdendo la nostra capacità di ribellarci veramente e quel che è peggio è che pensiamo di averne acquisita di più grazie al web. È dura da ammettere, ma molte marche riescono a riprendersi in maniera veloce e impeccabile nonostante le proteste, ciò forse dimostra che stiamo perdendo un po’ di potere di consumatori o non sappiamo sfruttarlo. O semplicemente che le marche sono diventate più forti dei nostri boicottaggi.