Come creare un podcast aziendale di successo?

podcast aziendale di successo

Scopriamo subito le carte: una risposta certa a questa domanda, in realtà, non esiste. Non ancora almeno. Come abbiamo visto nell’articolo dedicato ai branded podcast, infatti, si tratta di una materia ancora relativamente nuova e, quindi, poco codificata. Nonostante gli esempi non manchino e le esperienze di chi da anni opera nel settore siano in effetti disponibili e utilissime, cosa determina il successo (o l’insuccesso) di un podcast aziendale non è ancora definibile con certezza. 

E meno male! Sì perché, per certi versi almeno, l’assenza di norme precise lascia ancora margine di manovra a test e sperimentazioni, i veri ingredienti di questa fase di sviluppo del prodotto audio che, una volta che sarà colonizzato da tutti e in tutto, probabilmente si troverà a fare molto di più i conti con dogmi e divieti. 
Il fatto che non ci siano regole d’oro, però, non significa che non esistano consigli d’oro e accorgimenti che è utile tenere presente quando ci si appresta alla realizzazione di un podcast per il proprio business. Per quanto con logiche ed evoluzioni diverse, infatti, il podcast è imparentato con la radio e deve parte del suo potere di attrazione e convincimento a stratagemmi che sono propri del mezzo sonoro in generale, e di quello radiofonico in particolare. Ecco allora i nostri suggerimenti per creare un podcast aziendale efficace o, quantomeno, per giudicarne uno, al di là dei gusti personali e delle impressioni di pancia.

Il linguaggio: parla…come parli!  

Probabilmente chi è già abituato alla scrittura per il web non sarà nuovo a questa indicazione: in “cuffia” si parla semplice, come e più dell’online. Il motivo è presto detto: l’attenzione dell’ascoltatore può essere facilmente distolta da stimoli visivi o da altri input sonori (basti pensare che, secondo l’ultimo Report Doxa il 63% dei fruitori di podcast lo ascolta facendo altro, si tratta cioè di un ascolto multitasking) e se siamo i primi a fornirgli occasioni di distrazione, ad esempio usando termini complicati e inusuali, o fraseggi contorti, rischiamo un inutile autogol. 
Meglio evitare giri di parole poco pratici o perifrasi che suonano bene sulla carta, ma all’orecchio stonano decisamente. Per altro verso, invece, ci sono formulazioni tipiche del parlato che nello scritto stridono: facciamo un paio di esempi. 

Generalmente, quando parliamo tendiamo ad anteporre il sostantivo all’aggettivo: diciamo ad esempio “una cosa bellissima”, piuttosto che “una bellissima cosa”. Ora, è evidente che ci sono gradi di enfasi differenti e nessuna delle due versioni è sbagliata, ma mentre nella lettura l’ordine degli elementi non influenza più di tanto la comprensione della frase (e anzi, consente di cogliere la sfumatura di senso che l’autore ha voluto dare al testo), quando si ascolta bisogna cercare di semplificare il più possibile la logica di esposizione, per favorire l’intelligibilità di ciò che diciamo. 

podcast aziendale efficace

Anche le ripetizioni sono un esempio di come parola scritta e udita divergano: se fin da piccoli siamo stati guidati nella scelta di sinonimi e variazioni, quando raccontiamo qualcosa a voce questo presupposto decade e ci fa meno strano sentire più volte la medesima parola nello stesso discorso che leggerla a distanza di poche righe. 
Questo perché, pur attivando entrambe la capacità immaginifica del cervello, lettura e narrazione audio hanno un elemento di distinzione: la presenza di un supporto visivo (un libro, una rivista, un sito web…). Quando questo viene meno, infatti, i vocaboli scelti hanno un’importanza relativa e ciò che conta è l’immagine mentale che si crea nella testa dell’ascoltatore, che segue il procedere del discorso senza troppi indugi sulla frequenza di apparizione di questa o quella parola specifica. Per questo, quando si scrive per il parlato bisogna tenere conto di come si traducono le righe nel cervello umano, preferendo quindi frasi brevi e chiare.
Come farlo? Ci sono due tecniche che è possibile mettere in pratica per ottenere un risultato soddisfacente. 

Metodi per parlare semplice, tra linguaggio e contenuto: AIDA e “bob”

Il primo metodo è mutuato dalle tecniche di marketing e infatti ha qualcosa in comune con il copywriting persuasivo. Il suo nome, anzi il suo acronimo, è AIDA ma non ha niente a fare con l’Opera lirica. AIDA sta infatti per: Attenzione, Interesse, Desiderio, Azione e definisce le quattro fasi in cui suddividere un testo per tenere incollato il nostro pubblico. Ecco come: 

  • Attenzione: è la primissima parte del discorso, l’attacco, ed è tipicamente breve. Il suo obiettivo è fare “drizzare le orecchie” a chi ci ascolta, incuriosendo su quello che stiamo dicendo, ad esempio con una frase ad effetto e apparentemente fuori contesto, come “Lo sapevate che per risolvere il problema del surriscaldamento globale, basterebbe mangiare più cioccolata?”.
  • Interesse: questo è il punto in cui si sviluppa meglio il tema, o la notizia che abbiamo introdotto, arricchendola di particolari utili e “golosi” per consentire un’esperienza visiva dettagliata.
  • Desiderio: qui si gioca la parte del coinvolgimento emotivo, quello in cui scatta il processo di immedesimazione o solidarietà del pubblico (“Immaginate di potervi immergere in una vasca di cioccolato e, nel frattempo, contribuire a salvare il pianeta…”). 
  • Azione: è la “via di fuga”, ovvero il momento in cui si chiede all’utente (o all’udente, dovremmo dire) di fare qualcosa, che sia acquistare un prodotto o seguire la prossima puntata, etc…

La seconda tecnica, apparentemente meno articolata ma un po’ più lunga, è quella che abbiamo soprannominato “bob” da sbobinare. Dopo essersi preparati sull’argomento o sulla puntata che si è deciso di affrontare e averlo interiorizzato un po’, ci si butta direttamente in registrazione. Così, come se lo si stesse raccontando ad un amico. Una volta terminato, si procede alla sbobinatura (scritta) del risultato e cesellando qui e là – evitando le formule troppo colloquiali e ripulendo un po’ il tutto – si struttura una traccia che sicuramente sarà più vicina al nostro modo di parlare di quanto probabilmente non saremmo in grado di fare studiando tutto a tavolino fin dall’inizio. 

podcast aziendale come fare

Il tempo: nemico/amico di tutti i podcast (aziendali compresi)

Il tempo è uno degli altri fattori da tenere presente quando si realizza o si richiede un contenuto audio ad agenzie o autori specializzati, soprattutto se si tratta di un podcast aziendale. Anche sulla definizione di tempo, però, dobbiamo fare una precisazione: in questo caso, infatti, si intende in forma duplice. 

Il tempo del podcast, ovvero la durata delle puntate. A differenza della radio, infatti, gli episodi del podcast possono anche non avere una lunghezza fissa e molto dipende dai contenuti che si decide di esplorare all’interno di ciascun appuntamento. Certo, creare una certa regolarità aiuta anche a generare un’abitudine di ascolto in un determinato lasso di tempo, ad esempio nel tragitto casa-lavoro o mentre si svolgono attività ricorrenti. Nel podcast “Il Buongiorno di Londra”, ad esempio, Raffaele Tovazzi offre suggerimenti di vita e di ascolto in un minuto, fisso, ogni mattina. In generale, quindi, non è importante che un podcast sia più o meno lungo, ma che occupi esattamente il tempo che serve, senza prolissità da un lato, o “stitichezza” dall’altro. 

Il tempo va considerato però anche in un altro senso, ovvero come il periodo necessario per la progettazione e la realizzazione di un podcast, che non può essere ridotto a pochi giorni solo perché, all’apparenza, il contenuto audio è “facile”. L’immediatezza e l’efficacia di un podcast sono direttamente proporzionali al tempo speso nella sua elaborazione e post produzione. Proprio perché è un contenuto audio, infatti, va studiato in tutti i particolari: dalla scrittura, all’esposizione, alle pause (sonore o meno), e così via. Qualità e rapidità, purtroppo, raramente vanno a braccetto e anche se “fare il podcaster” può sembrare banale sulla carta, nella realtà non è così ed è importante considerare il fattore tempo anche da questo punto di vista. 

Lo stile del podcast aziendale: cosa dire e come 

“Personale ma non (necessariamente) privato”: questo è il discrimine che, soprattutto se si tratta di podcast aziendali, è bene non trascurare. La linea di confine è sottile, soprattutto se si vuole (ed è consigliato farlo) creare una certa empatia e intimità con il pubblico. Il mezzo audio, così come quello video, è estremamente privilegiato in questo perché, rispetto ad altri strumenti, quelli multimediali consentono di instaurare un rapporto diretto o, meglio, l’illusione di un rapporto diretto, quasi a tu per tu. E d’altra parte, questo non significa necessariamente mettersi al centro del discorso o raccontare i fatti propri, a meno che non sia esattamente questo il focus del programma. Mantenere un equilibrio tra la nostra personalità e la nostra persona è importante per generare affezione senza scadere nell’autocelebrazione. Un esempio perfetto di questa modalità è DTR, il podcast di Tinder (prodotto da Gimlet Media) in cui, ai microfoni di Jane Marie, si raccontano diverse persone, le loro vicende amorose e le loro esperienze sulla famosa piattaforma di dating. La conduttrice, però, non si limita a esporle o a interagire con gli ospiti, ma si espone e si esprime, anche con riferimenti al suo carattere e alle sue preferenze e opinioni, sempre però in un bilanciamento perfetto che non oscura mai il personaggio della puntata, creando così quella tipica atmosfera del salotto tra amici. 

E così arriviamo all’altro punto focale del podcast: lo speakeraggio. Anche in questo caso vince la chiarezza, che significa: articolazione e scansione precisa delle parole (vietato “mangiarsele”, correre o andare troppo lenti) e intonazione giusta a seconda del tema e dell’effetto desiderato. Per quanto sia importante avere una dizione corretta, un po’ di inflessione locale non guasta, e serve proprio per generare quella specie di confidenza di cui sopra: dimostrarsi umani, anche se professionisti, fa leva sugli aspetti inconsci dell’ascolto e può condizionare positivamente l’impressione che si ha del contenuto. 
Generalmente, tra i consigli più comuni che si danno agli speaker, c’è anche quello di sorridere un po’ mentre si parla, che non vuol dire buttare tutto in caciara o assumere un tono ridanciano, ma trasmettere inevitabilmente un senso di piacere e gusto per ciò che si sta dicendo.

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Mai giudicare un libro dalla copertina (ma un podcast, sì!)

Ce lo hanno insegnato fin da bambini, un libro vale per il suo contenuto e non per l’estetica della sua copertina. E anche per il podcast vale lo stesso. Però…però, ammettiamolo: una “bella” copertina attira di più e a volte ha il potere di convincerci all’acquisto (o al download). Ecco, anche quando si tratta di librerie audio può entrare tra in gioco la stessa logica. E allora? Allora, meglio optare per una copertina che sia, innanzitutto, leggibile: con caratteri e font chiari e facilmente decifrabili, ma anche con immagini ben distinte, evocative e non confuse. L’elemento umano, ad esempio, è uno di quelli che attira maggiormente l’occhio perché si tratta di forme riconoscibili e, in qualche modo, “amiche”. Questo non significa che debba esserci per forza una fotografia o un volto: la copertina del nostro podcast aziendale può ospitare benissimo anche un’illustrazione o una caricatura, di tutto o parte del corpo umano. Certo, se l’host è un volto noto dello spettacolo, perché non metterlo in risalto? 
Potendo scegliere tra tante alternative, il nostro utente sarà spinto verso quelle che gli causano meno fatica e sono immediatamente comprensibili: meglio optare allora per uno stile sintetico e fortemente iconico, saranno poi le singole puntate ad arricchire di particolari il nostro argomento. E se intanto volete cimentarvi con qualche tentativo “homemade”, ecco qui la nostra guida alla grafica fai da te

Non è un caso se, in tutte queste indicazioni, non abbiamo mai menzionato il format, vera chiave di volta del podcast aziendale, e non, di successo. Questo perché, come si diceva all’inizio, non esistono ancora formule magiche o categoriche in merito e molto dipende dall’argomento che si decide di trattare. Certo, analizzare con precisione quanto già sul mercato, decifrando in modo schematico ciò che fanno gli altri (sigla, intro, stacco musicale, etc.) può aiutare a farsi un’idea dell’eventuale ricorrenza di certi stratagemmi narrativi e della loro funzione e funzionalità. Tuttavia, ciò che fa la differenza, ancora una volta, è la coerenza tra contenuti e storytelling.  

E poi certo, a determinare davvero risultati di ascolto, notorietà e possibilità di monetizzazione di un podcast, contribuisce non poco anche la strategia di promozione e marketing: ma questa è un’altra storia. Per conoscerla o per richiedere una consulenza specifica legata al mondo del podcasting aziendale, basta contattarci, ne sentirete delle belle! 

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